Curiosità linguistiche. Le equivocità della lingua italiana: quando capire e capirsi diventa difficile!
di Carlo Iandolo
POMPEI. C’è una serie di frasi equivoche per la palese ambiguità del significato generale o della forma assunta da una parola. Nel primo caso, ecco la telefonata eseguita su commissione da una cameriera a un’amica della sua datrice di lavoro: «La mia signora le chiede se nel pomeriggio può venire a farle visita». Quiz: perché le due amiche non s’incontrarono?
«Ho mangiato un pollo della zia che ieri ho ucciso»: è la confessione d’un nipote omicida o del “semplice” accoltellatore d’un animale?
Primo giorno di scuola elementare e il maestro interroga uno dei piccoli allievi per controllarne l’estrazione sociale: «Dove vivi?». Alla domanda, ripetuta piú volte, segue puntuale il silenzio del giovinetto. Allora il docente ha il sospetto di difficoltà linguistiche e decide il ricorso al dialetto: «Addó vive?». Di nuovo silenzio, onde la ripetizione della domanda: «Addó vive?». L’alunno guarda con aria di sorpresa il maestro e poi risponde: «E addó pozzo vèvere? Dint’ ’o bicchiere».
È noto che l’eroe greco Teseo, ucciso il mostro Minotauro con l’indiretto aiuto della fedele innamorata Arianna (che gli procurò il filo d’orientamento per uscire con facilità dal Labirinto), abbandonò ingrato la sposa nell’isola di Nasso: da qui “Piantare in Nasso” comportò una pronunzia equivoca, con la caduta della seconda “n-” iniziale e la conseguente frase “Piantare in asso”.
Lo stesso vale per l’espressione “Distinguere il grano dall’olio”, parola che nell’originaria forma “loglio” (anche qui con caduta della “l-” iniziale e alterazione della forma) indica un’erba infestante come la zizzania, e quindi la necessaria separazione di ciò ch’è buono dal cattivo.
Con la frase “È un busillis” s’indica un rompicapo inestricabile, incomprensibile. In realtà nel testo originale era scritto “In re (e poi a capo, continuando la parola) bus illis = in quelle cose”, di modo che l’ingenuo e distratto lettore non collegò lo scritto, restando esterrefatto di fronte al “busillis”, ridotto stranamente nell’incomprensibile monomio linguistico.
Fino a una certa epoca talune parole non prevedevano una forma femminile, perché alcuni ruoli sociali riguardavano unicamente gli uomini: com’è che allora “la guardia, la sentinella, la recluta” sono di sesso muliebre? In realtà, l’origine prevedeva espressioni come “stare in guardia, stare in ascolto / in atto di sentire, stare nella ricrescita (delle forze armate)”, per cui in seguito si trasformarono in “fare la guardia, fare la sentinella, fare la recluta”, con esclusivo riferimento a uomini: ma oggi non è piú cosí.