Curiosità linguistiche. Stranezze d’ortografia: le eccezioni di un meccanismo rigoroso
di Carlo Iandolo
POMPEI. Nella nostra lingua letteraria sarebbe un’eresia imperdonabile usare la grafia “qu (+vocale) al posto di “cu”, e viceversa: guai a scrivere cuieto, ncuità (come avviene in dialetto napoletano) invece di “quieto, inquietare”!, anche se intanto abbiamo tratto “chiedere” per dissimilazione dal latino “quaerere”, “cuocere” non dal classico “còquere” ma da un popolare *còcere, nonché gli antichi avverbi “cavelle e covelle” (da “quam velles” e “quod velles” = quanto-quel che vorresti) = “poco o punto”!
Di contro abbiamo una piccola schiera di parole che hanno commesso l’abnorme voltafaccia ortografico di porre un ufficiale “qu” là dove in origine c’era “cu”!
L’unica di origine straniera riguarda quadriglia (dallo spagnolo “cuadrilla”), mentre tutte le altre sono di provenienza latina: quaglia (da “coàcula”, poi *cuàcula, che avrebbe dovuto produrre *cuacchia e invece ha visto prevalere un’uscita di tipo settentrionale); cosí quaglio accanto a caglio (da “coàgulum”, invece di *cuaglio).
C’è poi un’altra serie di lemmi che risulta composta dall’esclamazione “eccum = ecco” e da un dimostrativo o un avverbio tonicamente accentati: ne sono testimoni (ec)cu(m)istu-m = questo, (ec)cu(m)illu-m = quello, (ec)cu(m h)i(c) = “qui” e (ec)cu(m) inde, da cui sono poi derivati gli ulteriori avverbi di luogo quinci e quindi, che il Leopardi riuní paralleli nell’idillio “A Silvia” nei mirabili versi “Mirava il ciel sereno, – le vie dorate e gli orti, – e quinci il mar da lungi, e quindi il monte”…
Né possono trascurarsi “quivi”, che a suo modo nasconde una netta tautologia, giacché composto da due eguali avverbi di luogo *e(c )cu(m) ibi, onde “qui + ivi”, né “qua”, derivato anch’esso dal latino “eccu(m) hac = proprio per di qui”, che piú fedelmente il dialetto napoletano scrive cca / ccà…
Un ulteriore caso di “qu” derivata da un’originaria iniziale “c” riguarda l’aggettivo “quatto” (cfr. quatto quatto = chinato a terra, raccolto in sé stesso), generato come participio passato del verbo latino “cogere” da *co-agere, con normale passaggio di “coa > qua”;
Viceversa, ed è una chicca rammentare, il caso opposto del pronome relativo “cui” (Dativo singolare in latino, ma divenuto valido anche per il plurale in italiano con piú ampie funzioni come complemento indiretto) che nell’antica lingua di Roma ebbe la sua prima grafia nella forma “quoi”. Quanto al latino “siliqua” > *siliquella, da cui il napoletano ricavò *sciucella > sciuscella = “carruba”, ritorneremo in un prossimo numero.
E, ancora in un continuo gioco di diversità e d’opposizioni, da “làqueum” (attraverso un latino popolare *lacjum) ecco “laccio”, cosí come coesiste il fedele “consequenziario” accanto all’innovativa forma “conseguenza”, un po’ lontana da quella originaria latina “consequentia”, ma in un limpido incrocio con il verbo “conseguire”…
Se ne deduce che anche in un meccanismo preciso e rigoroso qual è l’ortografia talvolta compaiono (almeno rispetto alle ascendenze ataviche) le cosiddette “eccezioni”.