I “corpi abbracciati” nella Casa del Criptoportico di Pompei erano di due uomini
POMPEI. I corpi delle vittime dell’eruzione vesuviana del 79 d.C. ritrovate abbracciate l’una all’altra nella Casa del Criptoportico di Pompei – e il cui calco in gesso è diventato nel tempo uno dei simboli più toccanti della tragedia – appartenevano a due uomini e non a due donne, come si era sempre pensato.
Dai successivi restauri, dagli studi antropologici e dalle analisi del Dna sono emersi sorprendenti risultati in grado di ribaltare la teoria di pertinenza di genere delle due vittime. All’epoca del rinvenimento (1914) l’allora soprintendente di Pompei, Vittorio Spinazzola, reputò che i due corpi ritrovati distesi e vicini, l’uno con la testa nel grembo dell’altro, appartenessero a due donne.
I recenti studi antropologici hanno rivelato che i due corpi, sulla base della conformazione ossea e dei caratteri morfologici, appartenevano a un individuo adulto (più di 20 anni) e ad uno più giovane (circa 18 anni).
La vera novità, però, è arrivata dall’analisi del Dna che ha completamente ribaltato la tesi secondo cui si trattava di due donne: è emerso, infatti, che la vittima più giovane era certamente un uomo.
Forse anche l’altro corpo apparteneva ad un uomo, ma in questo secondo caso è stato possibile solo avanzare un’ipotesi, a causa del Dna altamente degradato. Non si è potuto nemmeno stabilire se i due avessero legami familiari.
Le analisi, infatti, sono state condotte su campioni costituiti da un dente e da frammenti ossei e hanno inteso indagare anche le presunte relazioni di parentela per linea materna (le uniche rilevabili da indagini Dna), che non è stato possibile dimostrare.
«Le indagini antropologiche e l’analisi del Dna si rivelano sempre più strumenti fondamentali per la conoscenza scientifica – ha spiegato il direttore generale Massimo Osanna – perché sono in grado di dare certezza in campo archeologico a quelle che un tempo potevano essere solo delle ipotesi. Lo conferma quanto emerso dai recenti studi condotti su due vittime ritrovate nella Domus del Criptoportico».
«In questo caso – ha aggiunto l’archeologo – possiamo affermare che non si tratta di due donne e che non vi fosse rapporto di parentela in linea materna, tuttavia non si può concludere scientificamente quale tipo di legame affettivo unisse le due vittime “rapite alla morte”, secondo la poetica espressione di Giuseppe Fiorelli».