L’archeologia rubata: ultimi giorni per visitare la mostra “Il corpo del reato”
Nell’Antiquarium esposti 170 reperti archeologici recuperati dalle forze dell’ordine
POMPEI. Pompei espone tesori che sembravano perduti per sempre e che invece, grazie al lavoro delle Forze dell’Ordine e della Magistratura, sono stati restituiti al patrimonio culturale mondiale. È questo il filo conduttore della mostra “Il corpo del reato”, inaugurata a dicembre nell’Antiquarium degli Scavi e visitabile fino al prossimo 27 agosto.
L’esposizione raccoglie materiale di vario genere, circa 170 oggetti (ceramiche, crateri, statue, depositi votivi, ecc.) tra reperti autentici (risalenti al VI secolo a.C. fino all’età romana) e falsi archeologici. Si tratta di oggetti rubati e poi ritrovati che, dopo essere stati sequestrati dalle forze dell’ordine, per lungo tempo sono stati conservati nei depositi di Pompei. Di recente svincolati, oggi quegli oggetti sono visibili al pubblico.
“Il Corpo del reato” è quindi una testimonianza della lunga stagione di saccheggio subita dal patrimonio culturale italiano dal 1960 ad oggi, cui le Forze dell’Ordine hanno posto un freno, arrivando a sequestrare oltre 800mila reperti: una cifra ritenuta comunque inferiore rispetto alla quantità di opere depredate nel tempo. La razzia riguarda migliaia di siti presenti in Italia che, fra il 1970 e il 1990, finì addirittura per alimentare prestigiose collezioni di musei internazionali come il Getty di Los Angeles e il Metropolitan di New York. Si deve allo straordinario lavoro dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Magistratura il recupero delle opere esposte.
I sequestri sono avvenuti principalmente a Pompei e dintorni: Boscotrecase, Gragnano e Sant’Antonio Abate. In alcuni casi sono oggetti tratti da scavi clandestini svolti nell’area, ma buona parte proviene da saccheggi perpetrati in vari siti dell’Italia meridionale, come la ceramica daunia delle necropoli della Puglia settentrionale. Ma nel mercato illecito degli oggetti archeologici e artistici il rischio di incappare in un falso è molto alto.
Si è calcolato, infatti, che circa il 66% dei reperti o delle opere messi sul mercato dai trafficanti sono fasulli: un vero proprio business illegale, quindi, secondo solo al mercato della droga. Falsi perfetti o quasi, realizzati da artigiani e rifilati, attraverso un’efficiente rete di canali, ai collezionisti privati e ai mediatori stranieri. Nei laboratori di falsari si rifà di tutto: bronzi, ceramiche dipinte, monete, statue. I falsi vengono poi venduti, singolarmente o mescolati insieme a qualche pezzo autentico. Diventa fondamentale, quindi, valutare l’autenticità degli oggetti custoditi clandestinamente, cercando di riconoscere la contraffazione sulla base degli errori che involontariamente il falsario può aver compiuto seguendo gli stili e gli usi del tempo antico.
All’Arma dei Carabinieri è attribuita una preminenza nella tutela del patrimonio culturale: il Comando Tutela Patrimonio Culturale (Tpc), nato il 3 maggio 1969, è oggi un ufficio di diretta collaborazione del Ministro dei Beni Culturali e può contare su 270 militari qualificati.