Le donne che hanno scritto la storia dell’antica Pompei

POMPEI. Pur se nella società romana il matrimonio e la maternità erano considerati lo scopo principale di una donna, le donne romane, e nello specifico anche a Pompei, conducevano – incredibilmente per l’epoca – una vita che permetteva loro di partecipare a molti momenti sociali della città e di svolgere attività che oggi noi chiameremmo “imprenditoriali”. Sfatando il falso mito dell’ignoranza femminile molte donne, e non solo quelle dei ceti elevati, ricevevano una certa istruzione che non si limitava solamente alla formazione di base.

Da quanto appare sugli affreschi che ci provengono proprio dai centri vesuviani, molte donne sono raffigurate spesso mentre leggono o praticano la musica che certamente faceva parte del loro bagaglio culturale proveniente dalla propria istruzione. Potevano inoltre liberamente frequentare i luoghi pubblici e molte svolgevano e gestivano attività economiche, interessandosi talvolta anche di politica.

Come di regola nel mondo romano, le donne non avevano diritto di partecipare in prima persona alla vita pubblica, tanto che la politica era chiamata per definizione “virile officium”, ma al momento delle elezioni dei magistrati partecipavano attivamente alla campagna elettorale. Come? Su molti dei manifesti elettorali trovati a Pompei c’è la firma di donne che invitavano a votare uno o l’altro candidato, incitando i concittadini a prendere parte per una fazione o l’altra.

A Pompei esistevano anche donne con la possibilità di disporre di ingenti patrimoni e di disporne anche per uso non privato. Mamia era una sacerdotessa pubblica proveniente da una ricca famiglia di origine sannitica, famosa per avere donato alla città un tempio dedicato al “genio dell’imperatore”.

A Mamia venne costruita una tomba (foto in copertina) su un terreno donato a scopo funerario proprio dalla città, nel pomerium, la fascia di rispetto posta all’esterno, dove si seppellivano i morti; ad Eumachia la corporazione dei fullones dedicò una statua nell’edificio da lei fatto costruire, come padrona e loro benefattrice.

Eumachia, appartenente ad una ricca famiglia pompeiana, che doveva la sua fortuna alla viticoltura e all’industria anforaria, aveva fatto costruire nel Foro e a sue spese, uno degli edifici più imponenti della piazza, probabilmente destinato ad essere mercato per la lana. Consacrò la costruzione a nome suo e del figlio M. Numistrius Fronto, alla Concordia Augusta e alla Pietas, con lo scopo di agevolare la carriera politica del figlio.

È probabile che l’edificio servisse come sede della corporazione dei lanaioli, tintori e fullones per le contrattazioni della merce all’ingrosso. Queste donne avevano avuto una visibilità pubblica elevatissima e i meriti venivano loro riconosciuti dall’intera collettività.

Altra donna importante a Pompei fu Giulia Felice, che vicino all’Anfiteatro aveva delle proprietà immobiliari (praedia) che dava in affitto. Probabilmente era la stessa donna che gestiva gli affari, anche se il lavoro non era di per sé segno di emancipazione, in quanto donne come Mamia, Eumachia e Giulia Felice erano perfettamente inserite nel tessuto sociale della città, gestendo autonomamente il loro patrimonio ed incontrando molte persone per affari.

Il modello di società, ovviamente, va calato nel contesto e, in particolare a Pompei, nel felice momento che la città attraversava prima della disastrosa catastrofe del 79 d.C. Tutto, alla fine, dipendeva sempre dalle possibilità e dalle condizioni sociali che alcune donne potevano permettersi rispetto ad altre, dalla loro attitudine e dal loro carattere.

Mamia, Eumachia e Giulia Felice sicuramente potevano considerarsi, per motivi che noi non potremo mai più ricostruire, ma che possiamo intuire dagli onori che la città ha dedicato loro, delle vere e proprie “imprenditrici” moderne, che hanno dato ulteriore lustro alla loro città.

Alessandra Randazzo

Alessandra Randazzo

Classicista e comunicatrice. Si occupa di beni culturali per riviste di settore.

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