A tavola con gli antichi romani: viaggio tra usanze, superstizioni e miti da sfatare
POMPEI. «Prima di conversare sulla cucina dell’antica Roma è necessario fissare dei riferimenti: a quali romani ci si riferisce, riguardo ai territori ed ai prodotti di pesca e agricoltura? È necessario, inoltre soffermarsi su un dato periodo storico e scegliere una classe sociale perché anche a quei tempi coesistevano diverse abitudini alimentari».
Le considerazioni d’esordio di Giorgio Franchetti, autore del libro “A tavola con gli antichi romani” ha messo subito in chiaro che la sua conferenza, pur se riferita all’ambito del personaggio Marco Gavio Apicio ed ai suoi contemporanei, non si sarebbe limitata al commento del ricettario ma avrebbe anche riguardato alcuni ambiti della storia sociale del popolo romano dell’epoca esaminata.
Gli ospiti del ristorante Caupona sono stati accolti in una serata di fine estate salutata dalle stelle (giovedì 21 settembre) nel suo magico giardino all’esterno di una magnifica sala da pranzo affrescata secondo lo stile di una domus dell’antica Pompei. Il tutto appena a due passi dagli Scavi.
Ritornando alla presentazione del libro, il detto popolare “dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei” ha dato spunto (come nel libro in presentazione) alla descrizione documentata dell’economia, dell’organizzazione politica e sociale e dei diversi stili di vita dell’area mediterranea della Roma imperiale.
Vale a dire che è stata analizzata l’identità civile di un popolo che a Pompei ha lasciato tracce chiare e leggibili, grazie (o purtroppo) all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., trasferendo in modo incredibile un’eredità di conoscenze a cui lo stesso Franchetti ha fatto abbondantemente ricorso nel suo libro.
Si è trattato, alla fine, sulla base di usanze popolari, elaborazioni statistiche e conoscenze condivise, di sfatare alcuni luoghi comuni sull’opulenza godereccia “alla Trimalcione” di Roma e di Pompei, che alcuni film hanno diffuso nell’opinione pubblica contemporanea.
Al contrario, i dati statistici dimostrano che la maggior parte della popolazione romana era indigente ed aveva una dieta povera formata da cereali (come il farro) e dalle verdure e dagli ortaggi che fanno ancora parte del nostro patrimonio enogastronomico (bietole, spinaci, cavoli, ecc.).
Per dare più sapore ai cibi si faceva grande uso in cucina delle spezie (specie il pepe) e molte pietanze si condivano con il garum, una salsa prodotta dalle interiora di pesce, sulla quale Franchetti ha fatto ampia dissertazione, spiegando che se ne ricavavano tre tipi a seconda della ricetta, del gusto del commensale e del suo censo.
Molta gente, a Pompei come a Roma, non aveva una casa con un atrio né una sala da pranzo, né tantomeno possedeva un triclinio su cui stendersi almeno una volta al giorno per consumare i pasti in compagnia di familiari ed ospiti.
Chi poteva faceva tre pasti al giorno ma la consuetudine di molti consisteva nel fermarsi a consumare un pasto frugale alla bisogna in una locanda (del genere del locale che ripropone in bella mostra il Caupona), in piedi dentro un panificio o in un termopolio, dove a poco prezzo si comprava un cibo caldo, un bicchiere di vino annacquato e speziato e, all’occorrenza, anche una compagnia femminile.
Segue nella presentazione di Franchetti la descrizione degli usi, dei comportamenti e delle credenze degli antichi romani che, per esempio, non raccoglievano il cibo caduto per terra durante i banchetti per la convinzione che fosse riservato ai morti. Alla fine quale sito migliore, considerato il primato turistico e culturale, del centro vesuviano, sede del famoso Parco Archeologico di Pompei, per mettere in vetrina un libro di cucina con ricette proposte dall’archeo-cuoca Cristina Conte?
«Mi sono attenuta al ricettario del “Re Coquinaria” di Apicio, ricorrendo al mestiere nel dosaggio degli ingredienti» ha spiegato l’archeo-cuoca, che giovedì scorso in collaborazione con l’abile chef del Caupona, Enrico Ruggiero, ha fatto deliziare i convitati con gli esclusivi “assaggi della casa”, seguiti da una gustosa cena e dal brindisi finale (con Falerno e vino mulsum) in onore al libro “A tavola con gli antichi romani” ed alla salute dei creativi titolari del ristorante Caupona, Nello Petrucci e Francesco Di Martino.
Alla fine l’esperienza sensoriale ed intellettuale del navigare nell’utero della cultura mediterranea, che non finirà mai di sorprenderci, è stata gradita da tutti. Un cammeo della serata in bella compagnia è stata l’introduzione della giovane archeologa Ilenia Tamburro alla teoria dei quattro umori della medioevale Scuola Medica Salernitana per mantenere una “mens sana in corpore sano”.