Parte al Mann la mostra “Fotografare il tempo. Pompei e dintorni”

Ottanta fotografie di Claudio Sabatino della città antica e della città moderna che affrontano il tema dell’archeologia e del paesaggio

NAPOLI. Da ieri Pompei è protagonista al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, con Claudio Sabatino che espone nel Salone della Meridiana e nella Sala del Toro Farnese (dal 20 gennaio al 15 marzo 2018) circa 80 opere che riassumono il lungo lavoro fotografico svolto tra gli Scavi di Pompei e i dintorni della città antica e che rappresentano un vero e proprio documento storico-iconografico delle trasformazioni avvenute nel tempo, nel complesso rapporto esistente tra architettura antica e moderna.

Un rapporto che sottolinea la contraddizione, da un lato, e la coesistenza, dall’altro, tra la quiete perenne delle testimonianze antiche rappresentate dalla città distrutta dal Vesuvio, riaffiorata immutata ed immutabile dalla lava, e il continuo rumore dell’evolversi della città nuova, il cui assetto urbano subisce i profondi cambiamenti imposti dalla modernizzazione. Tante immagini che contribuiscono a mantenere vivo il dibattito sulla conservazione e la salva­guardia dei monumenti e dei luoghi antichi nel territorio, non solo campano, sempre più assediati, circoscritti e pervasi dalle architetture moderne.

E proprio il tema della salvaguardia e della tutela è il tema trattato dal direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (Mann) che ospita la mostra. Dice infatti Paolo Giulierini, direttore del Mann: «II Museo è una creazione artificiosa dell’uomo che conserva in maniera quasi innaturale le opere contro il decadimento del tempo. Può mutare negli allestimenti, ma generalmente assolve al compito di salvare i capolavori per destinarli alla fruizione delle generazioni presenti e future». Continua Giulierini: «Tutela consapevole è prima di tutto ferma opposizione alle speculazioni edilizie ma anche, ad esempio, freno alle centinaia di scavi archeologici che non prevedano un piano di corretta conservazione di ciò che si decide di lasciare en plein air».

E ancora: «L’allestimento e il catalogo, consentono di esaminare come in molti luoghi simbolo (Terme di Caracalla, Pompei, Napoli, Area Flegrea) ci siano un “prima” e un “dopo” spesso anti­tetici, che rivelano da un lato i cedimenti di un’azione di tutela troppo minacciata da politiche di espansione edilizia, dall’altro il fatto che in Italia sia prevalsa un’attenzione maggiore per i luoghi espositivi piuttosto che per il territorio». E infine: «E quando parliamo di tutela non intendiamo solo quella relativa ai monumenti, ma an­che quella delle nostre coscienze, che non possono e non devono tollerare la distruzione scelle­rata delle opere di chi ci ha preceduto».

La curatrice della mostra, Giovanna Calvenzi, mette in risalto la meticolosità e la perizia del la­voro dell’artista, la sua scientificità e oggettività nel fotografare rispettando i luoghi e il silenzio in cui si immergeva, cercando di violare il meno possibile l’intimità degli spazi alla ricerca dei tempi giusti e delle luci adatte ad immortalare quei momenti. Dice infatti Giovanna Calvenzi: «Lui stesso ricorda dì aver voluto procedere come un archeologo, prelevando campioni di realtà, scomponendola per ricostruire poi un quadro complessivo che desse conto dell’organizzazione strutturale degli spazi» e continua: «Sabatino usa un linguaggio diretto, frontale, che documenta, rispetta e che intenzionalmente non interpreta. Il suo modo di narrare risente della lezione americana del “linguaggio documentario”, suggerita già negli anni Trenta da Walker Evans che teorizzava il rispetto “oggettivo” del paesaggio».

Prosegue Calvenzi: «La lettura sistematicamente documentaria dei luoghi scelti, infatti, non si trasforma di­rettamente in denuncia bensì sottolinea il bisogno di Sabatino di constatare, di ricomporre anche attraverso una visione “democratica”, le contraddizioni della contemporaneità». Ma è inevitabile, d’altro canto, il coinvolgimento della passione e dell’amore anche in un fotografo così attento ai canoni dell’oggettività e, infatti, la Calvenzi conclude dicendo: «Ma nello stesso tempo la perfetta conoscenza dei luoghi, delle luci, dell’uso del colore trasformano l’intenzione “documentaria e non interpretativa” in una narrazione personale, intensa e partecipe».

Redazione Made in Pompei

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Made in Pompei è una rivista mensile di promozione territoriale e di informazione culturale fondata nel 2010.

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