L’uso dei marmi nei luoghi pubblici e nelle case di Pompei antica
POMPEI. «Il soprintendente di Pompei, Amedeo Maiuri, voleva rivestire di marmo i gradini del Teatro Grande, come lo erano i primi tre o quattro, gli unici rimasti integri. Poi l’illustre archeologo rinunciò perché, commentò, quel tipo di rivestimento avrebbe fatto apparire il Teatro Grande di Pompei agli occhi dei turisti come un enorme lavatoio».
L’aneddoto è di don Peppino Lindinerro, il veterano delle guide turistiche di Pompei, nonché una delle poche persone viventi che possono vantare di aver frequentato l’archeologo Maiuri, nel corso della sua lunga attività scientifica ed umanistica.
Parliamo del materiale edile di pregio utilizzato per rivestire i gradini del Teatro Grande di Pompei durante la ristrutturazione di età augustea. Al contrario, il materiale utilizzato originariamente dai Sanniti doveva essere stato più economico (più a portata di mano) come quello dei luoghi pubblici e nelle domus di Pompei dello stesso periodo.
La prima regola riguardo ai materiali da costruzione, era di preferire quelli più a portata di mano, senza costo di trasporto. Questo il motivo della prevalenza a Pompei della pietra lavica, del tufo e del travertino.
Le indagini archeologiche hanno riscontrato poco marmo nelle costruzioni di case e monumenti (è di marmo la terza colonna del portico davanti al Macellum). Al contrario il marmo è stato largamente utilizzato nei rivestimenti interni dei luoghi pubblici (ad esempio nelle Terme Stabiane) e negli arredi dei giardini delle ville private.
Parimenti erano in marmo le decorazioni interne ed esterne (si utilizzava molto anche l’ardesia) e le soglie d’ingresso, i gradini, le sculture e le tombe (come quella di Alleius Nigidius Maius scoperta nel luglio 2017 a Porta Stabia).
Da ricordare è anche la Fontana del Gallo, (nella foto in alto) una splendida fontana pubblica in marmo che prende il nome proprio dal bassorilievo che raffigura il volatile.
Essa si trova all’angolo sud-occidentale del quartiere che ospita la Casa del Marinaio, poco distante dall’ingresso di questa abitazione facoltosa: è molto probabile, dunque, che la fontana sia stata realizzata grazie al mecenatismo del proprietario della domus.
Il marmo di Pompei è stato spesso riutilizzato, prima e dopo l’eruzione che seppellì Pompei sotto ceneri e lapilli. Un’ampia indagine riguardante i materiali lapidei da costruzione e ornamentali impiegati a Pompei ed Ercolano è stato eseguito dall’Università di Venezia in collaborazione con il Laboratorio di Ricerche Applicate del Parco Archeologico di Pompei.
Una specifica ricerca ha riguardato la casa di Giulio Polibio (Regio IX) con la facciata prospiciente la Via dell’Abbondanza e le vasche del giardino della Casa dei Vettii.
I risultati relativi agli ornamenti in marmi bianchi e colorati (sono stati classificati 36 tipi diversi) quasi sempre d’importazione dall’Africa settentrionale, dalle isole greche e dalla Turchia, informano sul grado di ricchezza ed importanza sociale dei proprietari delle case più importanti di Pompei.
È il caso della Villa di Diomede, una delle residenze più maestose di Pompei, seconda solo alla Villa dei Misteri, con più di 3.500 metri quadri di marmo e giardini sul mare. La Villa di Diomede, chiusa al pubblico e priva di studi aggiornati, è stata ripresentata in 3D in un progetto francese.
La Casa dei Marmi o Casa di Popidius Priscus, sita nella Regio VII con regolare impianto, ha una prima denominazione dovuta ad un graffito in caratteri greci lasciato su di una parete del vestibolo da cercatori tornati a Pompei dopo l’eruzione del 79 d.C. per recuperarvi suppellettili e materiali edili.
In quell’anno la casa era in fase di restauro e grandi quantità di lastre e blocchi di marmo per rifare pavimenti e rivestimenti di pareti erano depositati nel peristilio, dove le rinvennero gli scavatori borbonici che la denominarono appunto Casa dei Marmi.
In essa sono stati rinvenute diverse qualità di marmo tra bianchi e colorati, due colonne in marmo bianco spezzate, diverse lastre di marmo cipollino verde, alcuni pezzi di marmo porfido verde antico (Marmor Thessalicum), di cui uno con cristalli di agata ed una lastra di marmo bianco.
Tutti hanno segni di lavorazione in cui risulta evidente l’uso della sega, della gradina della subbia e dello scalpello. Le due colonne spezzate ed una lastra di marmo sono di marmo tasio, varietà Aliki (isola di Thassos, Grecia).