Longola e il sito preistorico: una visita che vale il breve viaggio da Pompei
È importante visitare il sito archeo-fluviale per andare a ritrovare le radici più antiche della nostra terra
POGGIOMARINO. Abbiamo già visto che facilmente si arriva a Lòngola con un viaggio breve, su strade scorrevoli che attraversano campi di terra nera e ricca di humus. Essa è resa particolarmente fertile dalle poco profonde falde acquifere, le quali fanno da corona al pigro procedere del fiume Sarno.E proprio il Sarno è il protagonista diretto della storia di Lòngola. La Valle del Sarno peraltro è stata da sempre terra ricca ed ospitale per le popolazioni italiche, che ne utilizzavano al meglio il ruolo di area cerniera per il commercio tra l’entroterra ed il mare Tirreno: prima etrusco, poi greco, poi saldamente romano.
E il fiume Sarno conserva nel proprio stesso nome la radice italica “rn”, comune ad altri fiumi campani come il Volturno e l’Irno, che racconta la liquidità sinuosa ed avvolgente dell’acqua che scorre verso il mare, senza furia, ma inesorabilmente. D’altra parte, la vicenda del sito archeo-fluviale di Lòngola è soprattutto storia di acqua e di acque ed è quella che qui di seguito tratteggiamo. Il tutto nasce per caso. In quella campagna e lungo quel tratto del fiume Sarno, dopo anni di discussioni, programmi e ripensamenti, negli anni post sisma si decise di porre mano all’insediamento di uno dei tre grandi impianti di depurazione che accompagnano lo snodarsi del Sarno nel suo percorso fluviale: l’alto, il medio ed il basso Sarno.
L’attuazione del depuratore di Longola, allora sito pressoché sconosciuto, fu affidato alle strutture prefettizie, direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Si fece ciò allo scopo di superare in forma commissariale le mille difficoltà burocratiche e politiche di un insediamento del genere, accolto e visto dalle comunità locali con lo stesso entusiasmo che si riserva alle sciagure. Superate tutte le difficoltà tecnico-amministrative, si era dato corso finalmente alla attuazione del Progetto del Depuratore del Medio Sarno. Quando, però, nel corso dei lavori, si procedette alla esecuzione dei pali necessari a sostenere le grandi vasche di depurazione – che erano poi degli enormi catini cementificati di varia forma – si verificò l’imprevisto.
Un fatto nuovo sconvolse i programmi. E ci fu una soffiata di un cittadino sarnese, amante del territorio della Valle del Sarno. Egli aveva notato l’andirivieni di camion carichi di materiale “spurio” proveniente da scavi in zona. Ne parlò alla persona giusta, una archeologa franco-napoletana che aveva studiato e scavato nella Valle del Sarno: la professoressa Claude Livadie. Quest’ultima, da esperta qual era, si rese conto in poco tempo che dallo scavo delle fondazioni del depuratore, ubicato a mezza strada tra Poggiomarino e Sarno – là dove pomodori, broccoli e cipolle di prima qualità la facevano da padroni – stavano emergendo frammenti di ceramiche antiche, pezzi e pali di legno in grandi quantità.
La Soprintendenza Archeologica di Pompei, allora diretta da Piero Guzzo, procedette a una prima sospensione dei lavori. Poi diede inizio a una campagna di saggi archeologici che – tra contrasti e problemi – si tramutarono poi in una vera e propria campagna di scavi archeologici. Sulla questione si confrontarono duramente e a lungo i Ministeri dell’Ambiente e quello dei Beni Culturali: il primo impegnato sul fronte del risanamento del fiume e il secondo impegnato sul fronte della tutela e della salvaguardia dei beni archeologici rinvenuti. Fu scartata la ipotesi mediatoria della “coabitazione” tra area archeologica e impianto di depurazione, opportunamente ridimensionato e rivisto.
Forse fu un errore. E ciò costò alla struttura commissariale un esborso di circa sessanta milioni di euro. Fortunatamente però, gli scavi di Lòngola poi si sono rivelati come la più straordinaria scoperta di archeologia preistorica degli anni Duemila. E ciò, in un territorio – quello pedevesuviano – famoso fino a quel momento soprattutto per la archeologia romana o, meglio, per la archeologia vesuviana, che è di epoca romana ed è emersa dalle stratigrafie eruttive pliniane. Il sito archeofluviale di Lòngola, invece, ci apre lo sguardo sugli orizzonti lontani delle nostre radici preistoriche originarie, più indietro di un paio di millenni… Non è poca cosa.
(2- continua)