A Longola un’opera di bonifica idraulica straordinaria, datata circa mille anni prima di Cristo
Un villaggio preistorico lagunare popolato di capanne di giunchi, distribuite su “isolotti” che si affacciavano su canali regimentati da quegli uomini della protostoria campana
POGGIOMARINO. In Campania i livelli più profondi, appartenenti alle epoche preromane anche arcaiche, si erano poco indagati fino a pochi decenni prima che irrompesse sulla scena dell’archeologia preistorica campana Lòngola con le sue straordinarie testimonianze. In anni più recenti, però, si erano verificati i ritrovamenti della piana aversana e quelli delle capanne preistoriche di Croce del Papa a Nola. Ma l’eccezionale sito preistorico di Poggiomarino, nei primi anni del 2000, con il suo carico altrettanto eccezionale di problemi, tecnici ed operativi, catturò l’attenzione di tutti.
Il sito preistorico risultava infatti a una profondità di ben oltre i cinque metri dal piano di campagna. Lo scavo in profondità si dovette svolgere “sotto falda”, cioè a livelli inferiori alla falda acquifera, in quei terreni profondi non più di un paio di metri al di sotto del livello di campagna. Nel sito il pelo d’acqua del contiguo fiume Sarno, infatti, si trovava più in alto di oltre sei metri rispetto alla quota dell’insediamento protostorico. La visione del sito preistorico emergente da quello scavo “difficile” fu però davvero coinvolgente. Essa proponeva la facies di un villaggio preistorico lagunare popolato di capanne di giunchi, distribuite su “isolotti” che si affacciavano su canali regimentati da quegli uomini della nostra protostoria campana.
Erano centinaia i pali di legno infissi nel terreno, allora melmoso, impiegati per consolidare i bordi terrosi assediati dalle acque. Un’opera di bonifica idraulica straordinaria, datata circa un millennio prima di Cristo! Quegli abitanti della protostoria campana avevano conteso la terra all’acqua, bonificandola con pietre, rami d’alberi, ossa d’animali e frammenti di ceramica, a migliaia. Per portarla alla luce, si dovette procedere nello scavo archeologico tenendo costantemente in funzione pompe, che aspiravano di continuo l’acqua intorno all’area di scavo, attraverso delle canne metalliche forate infisse nel terreno.
Gli operai, gli archeologi e i tecnici impegnati nei lavori del costoso scavo erano oltre settanta, quotidianamente. Fu possibile così asportare le stratigrafie superiori, più “recenti”, per arrivare a quote inferiori, più antiche, indagando nelle età del Ferro e oltre, fin quasi al alla più antica età del Bronzo. I problemi erano vari e nuovi, perché si era tutti indistintamente su una frontiera mai prima esplorata, a partire dal direttore dei lavori – che oggi scrive – ma comprese l’esperta archeologa preistorica Livadie e la funzionaria archeologa pompeianista Cicirelli.
Nonostante tutto, i difficili lavori di scavo procedettero con rare pause e si spinsero attraverso i secoli fino a circa tremila cinquecento anni fa. Ma anche fino a circa sette metri dal livello d’acqua del fiume Sarno, il quale sovrastava lo scavo ed esondò in più di una occasione, quasi a voler seppellire di nuovo quello che aveva custodito gelosamente per secoli. Gli elevati costi del mantenimento in asciutto dello scavo fecero però perdere l’occasione di spingere l’indagine fino al paleosuolo vergine più antico, cioè il livello più antico precedente alla prima frequentazione umana del sito. I lavori di scavo furono fermati. Una grande occasione perduta. Per sempre? Si prospettò, infatti, la chiusura definitiva del sito di Lòngola e la ipotesi di una eventuale ripresa delle attività di scavo… un giorno, chissà quando…
(3 – continua)