Pompei, ritrovata tomba con coppia “clandestina”: si ripropone la tematica delle unioni impossibili
POMPEI. Padrone e schiava sepolti assieme a Pompei. È quanto è emerso negli ultimi mesi da un eccezionale ritrovamento avvenuto nella necropoli del fondo Pacifico, che non era mai stato esplorato prima. Gli archeologi di Lille, titolari dei lavori di scavo, hanno scoperto la tomba nella quale si trovavano Ciaus e Ciara, una coppia “clandestina”.
L’ulteriore particolarità della scoperta è che con loro era sepolto anche un figlio, tra i 12 ed i 14 anni. Secondo le leggi in vigore allora, infatti, l’ancella non poteva andare a nozze con il suo padrone. L’opera di scavo ha anche consentito di ricostruire nei dettagli i riti funerari dell’epoca.
La scoperta della tomba della coppia di fatto insieme al figlio, probabilmente frutto della loro relazione “contra-legem”, tuttavia, ripropone con forza anche la tematica (non nuova) delle “unioni impossibili” tra padrone e schiava nell’antica Pompei, dove il diritto romano negava agli schiavi la titolarità dei diritti civili come quello di contrarre matrimonio e di fare testamento.
Si ripresenta così, dopo 18 anni, la tematica esposta in un articolo di Pietro Giovanni Guzzo (soprintendente a Pompei tra il 1997 e 2008) della relazione tra consuetudini di vita e normativa sociale, insorta a seguito del ritrovamento, nel novembre del 2000, di una vittima dell’eruzione del 79 d.C. (sicuramente una schiava) che indossava un braccialetto (foto in evidenza) con la scritta “Dominus ancillae suae” che significa probabilmente “Il padrone (lo ha donato) alla sua schiava”.
Lo scavo del 2000 fece ritrovare all’interno di una caupona (una locanda dell’antichità) i resti di alcune vittime (due donne adulte e tre bambini). La scoperta avvenne presso un agglomerato extraurbano a sud di Pompei (Moregine) sito non lontano dalla foce del fiume Sarno.
Tra esse vi erano i resti del corpo di una donna di circa 35 anni che indossava diversi oggetti d’oro, tra i quali due armille (bracciali a forma di serpente). La medesima aveva vicino un sacchetto contenente un piccolo tesoro di monete ed oggetti.
Uno dei bracciali dell’ancella aveva incisa, appunto, la dedica in latino “Dominus ancillae suae” che lasciava intuire un probabile rapporto amoroso tra padrone e schiava.
Un rapporto del genere dovette nascere a seguito della convivenza nella medesima domus alla periferia di Pompei, come d’altra parte avveniva in tutto l’Impero romano, in cui, evidentemente, passioni e sentimenti non sempre rispettavano i divieti imposti dalla lex romana.
Al contrario, davano luogo ad un contesto storico di vita reale in cui le “eccezioni” alla regola si presentavano con tale frequenza che alcune “prove” di queste numerose “irregolarità” emergono ancora oggi, come la scoperta dell’armilla con dedica o come nel caso della tomba “abusiva” scavata recentemente nel fondo Pacifico di Pompei.