Pompei, le statuine curotrofiche esaltavano la sacralità della maternità
POMPEI. Una figura femminile che sorregge uno o più infanti rappresenta un reperto significativo nell’ambito di contesti votivi antichi legati a culti femminili, ovvero le cosiddette statuine curotrofiche (il termine kourotrophos deriva dal greco “Kouros”, fanciullo e “trephō” allevare, nutrire) riproducenti figure femminili plasmate in argilla o altro materiale, nell’atto di sorreggere o allattare uno o più bimbi.
Statuine del genere, che fanno riferimento a culti di divinità femminili, sono state rinvenute in numerosi contesti votivi italici antichi: in modo particolare, le statuine curotrofiche rispettano la sacralità della donna in gravidanza, per questo esse erano rappresentate sedute in trono, al fine di mettere in risalto la maternità come simbolo fondamentale del ciclo vitale.
La statuina votiva (nella foto di copertina) risale al IV-III secolo a.C. e rappresenta una figura femminile con bambino in argilla. Il reperto proviene da una fossa votiva in località Privati, una frazione di Castellammare di Stabia ed è stata esposta in occasione della mostra “Alla ricerca di Stabia” presso l’Antiquarium del Parco Archeologico di Pompei.
Per trovare statue più significative ed importanti del culto osco (italico) della maternità dobbiamo far capo al sacrario del Museo Campano dove è custodita la collezione delle statue in tufo delle Matres rinvenute dove probabilmente sorgeva un tempio dedicato alla patrona delle partorienti, che è stata identificata anche con Cerere, dea che tutelava, tra le altre cose, la fertilità agricola, animale ma anche umana.
Altri vi hanno riconosciuto la Mater Matuta, onorata a Roma con le feste Matralie. Appare evidente, infine, la vicinanza tra la scultura votiva di Stabia esposta a Pompei e le Matres di Capua, mentre permane intatta la sacralità della maternità nella religione cattolica dove la Madonna è sempre ritratta in trono con il figlio in braccio.