Sceglie di essere la mamma di un bimbo abbandonato: storie di speranza dalle Opere Sociali
Sono tante le persone ospitate nelle attività di carità del Santuario di Pompei, con esperienze di vita difficili alle spalle
POMPEI. Speranza e accoglienza sono i denominatori comuni nel presente delle tante persone ospitate nelle opere sociali del Santuario di Pompei, tutte con esperienze di vita difficili alle spalle. Nella Casa Famiglia “Santa Maria del Cammino” ognuno ha una storia e le sue difficoltà, ma tutti hanno trovato in Anna e Renata, che gestiscono la Casa, un punto di riferimento. Anna e Renata hanno scelto di far parte della comunità “Papa Giovanni XXIII” fondata da don Oreste Benzi e da lì è iniziata la loro nuova vita che le ha portate a Pompei, a occuparsi della Casa Famiglia: una vocazione che si è concretizzata nella scelta di dedicare la vita agli altri.
Renata, per esempio, ha scelto di essere la mamma di C., un bimbo rumeno (oggi di 8 anni) nato prematuro e abbandonato in ospedale dalla madre naturale, dove è rimasto per ben 13 mesi perché affetto da idrocefalia. Gli è stata accanto nei lunghi mesi passati in ospedale fino ad averne l’affido e poi l’adozione. A lei e Anna è stato poi affidato S., un ragazzino autistico di 15 anni che, assieme al piccolo C., sono l’anima della Casa.
Nel Centro per il Bambino e la Famiglia “Giovanni Paolo II” del Santuario di Pompei ci sono anche M., una donna sola con difficoltà economiche e P., un ragazzo con disagio mentale. E poi c’è A.: la sua storia è l’esempio di come un incontro possa cambiare una vita. Per lei la Casa Famiglia “Santa Maria del Cammino” è stato il primo posto in cui ha incontrato la normalità di una famiglia, fatta di affetto, condivisione e anche di regole. La sveglia al mattino, i pasti tutti insieme, le faccende domestiche, i giochi con i bambini, le chiacchiere, la buonanotte alla sera. Una realtà a cui A. non era abituata: abbandonata dai genitori, non ha avuto un’infanzia e un’adolescenza facili. Oggi è mamma di tre bambini, ma è dovuta fuggire da un contesto familiare difficile, fatto di soprusi e violenze da parte di un compagno aggressivo.
Oggi, ad aiutare Anna e Renata, ci sono anche Angela e Silvio, che stanno affrontando un periodo di verifica per capire se entrare a far parte della Comunità Papa Giovanni XXIII. «Sono un ex tossicodipendente – racconta Silvio – non credevo in nulla, tantomeno in Dio. Poi, durante il percorso di disintossicazione, ho riscoperto i valori e la fede. Mi sono sentito amato per come ero e ora voglio offrire ciò che mi è stato donato, continuando il mio percorso di fede».
Angela, invece, conduceva una vita del tutto normale per una ragazza della sua età. Studentessa universitaria, aveva un ragazzo, usciva con gli amici, non le mancava nulla. «Ma in quell’avere tutto – dice – mi mancava tutto. Ho iniziato a pregare di più, a confessarmi più spesso, ma neanche questo mi bastava. Poi ho capito che la mia vocazione era condividere, mettere la mia vita accanto agli altri».