Afragola, la stazione firmata da Zaha Hadid, ospita la mostra fotografica “Il cielo oltre gli dei”
Riccardo De Massimi espone magnifiche restituzioni sia di statuaria del passato, sia di architetture evocative
AFRAGOLA. Nella magnifica stazione Av di Napoli Afragola, capolavoro dell’architettura contemporanea firmata dalla grande Zaha Hadid, archistar anglo-irachena scomparsa nel 2016 che con l’Italia ha avuto un rapporto privilegiato e duraturo, e in particolar modo con la Campania, si apre per la prima volta in assoluto una sala espositiva che inaugura (sabato 12 gennaio 2019, ore 11) con la mostra fotografica di Riccardo De Massimi “Il cielo oltre gli dei” a cura di Barbara Martusciello. L’inaugurazione consentirà di poter apprezzare al meglio anche la struttura architettonica immersa nella luce mattutina.
Riccardo De Massimi, con la serie fotografica “Il cielo oltre gli Dei”, esporrà magnifiche restituzioni fotografiche sia di statuaria del passato, con una selezione dal pantheon mitologico, sia di architetture altrettanto evocative. Il rapporto di De Massimi con lo spazio e le sue strutture, già palesatosi in una precedente mostra pure in un luogo ferroviario – la Sala Presidenziale della Stazione Ostiense a Roma, storicamente rilevante – è tornata qui ad esprimersi dialogando con una delle strutture contemporanee tra le più belle e complesse, dimostrando quanto visioni e linguaggi diversi riescano a produrre interessanti cortocircuiti estetici e concettuali.
Lo spazio che accolgierà le opere fotografiche, e quello immortalato dalle fotografie, pure ognuno diversissimo, forniscono dettagli suggestivi, scorci inconsueti, prospettive forzate, composizioni piene di tensioni e torsioni che sollecitano l’effetto di meraviglia. Le figurazioni di Riccardo De Massimi, pur bidimensionali, non si fermano alla superficie ma la scandagliano – secondo gli insegnamenti di Hugo von Hofmannsthal – per rintracciarvi la profondità; in essa scorgiamo una riflessione sulla smania dell’apparire che è sempre più dominante nella realtà contemporanea anche su pervicace spinta dei Media e dei Social.
Quando parliamo di Dei o Semidei torna subito in mente la cultura ellenico romana, ma, da sempre, le culture e gli uomini hanno tratto ispirazione esistenziale e comportamentale da una sconfinata sequela di divinità: che è, però, ben più remota perché è atavica. Sin qui la notazione si riferisce a qualcosa che è risaputo e universale. La cosa si complica quando pensiamo ai nostri giorni, in cui questi Dei sono noti come campioni, star, influencer. Sono questi i nuovi modelli saliti di posto nell’immaginario collettivo, sostituendo quelli dell’altissimo Olimpo: sia che si tratti di una icona votata alla bellezza (da Venere siamo poi passati a Marilyn e oggi alla… Ferragni), di un campione della forza bruta (da Ercole a… Mike Tyson), di un invictus (da Marte a… Maradona, o a Cristiano Ronaldo), di un idolo delle folle per leadership collegialmente indiscussa o di un dominus politico di parte, di una dea star come la Vittoria Atena – Nike o di una più mortale del red carpet…
Ma, se è sano che l’essere umano senta il bisogno di superare i propri limiti e di evolvere, e se è fatale che esso voglia allontanare il più possibile lo spettro della malattia e della morte, quindi affidandosi a prototipi sempre giovani, belli, invincibili, incontrastabili, da adorare e se possibile emulare, ebbene: ciò è virtuoso e meno effimero se espletato vivendo senza perdere il dono dell’empatia, di provare e comunicare la tenerezza, la capacità di un contatto concreto con l’altro da sé, senza sottovalutare o, peggio, abiurare gli elementi che fanno parte della nostra natura – i risultati ottenuti con perseveranza e fatica, la fragilità, il vero talento, ad esempio – imparando la capacità di sostenere la sconfitta e, semmai, facendone tesoro.
In fondo, anche gli Dei dell’antico Olimpo avevano le loro imperfezioni… Dunque anche l’Estetica, che muta a seconda delle culture e dei secoli, può essere ancora oggi modificata a favore di modelli che comunichino meno inflessibilità e qualche manchevolezza. Ciò lo scorgiamo in questi che a tutti gli effetti sono dei ritratti, seppur di statue – quindi già mediate precedentemente attraverso l’arte da uno sculture – e lo supponiamo presente anche nelle loro ipotetiche dimore divine – le architetture – che De Massimi fotografa con una ben precisa presa di posizione tematica.
Egli, cioè, prova a raccontare come sia sempre avvenuta una trasformazione dell’olimpo di riferimento delle collettività e come sia possibile un’alternativa a tale continua, seppur mutevole mitizzazione. Come? Mostrando, indirettamente, con la sua fotografia, che esiste un “cielo oltre”, che persino loro, gli Dei monumentali, notano e scrutano, e che sta al di sopra anche delle loro teste e delle loro eleganti, sontuose e dorate dimore. Perché va sottolineato: anche queste ultime, esattamente come i loro proprietari, sono del tutto inadeguate ad accogliere la nostra esistenza umana, normale e allo stesso tempo unica.