Tiro al piattello, un pezzo di Scudetto è a Pompei
Ci sono due pompeiani nel team Torretta di Pagani, laureatosi Campione d’Italia 2019 nella disciplina olimpica
POMPEI. Padre di famiglia, netturbino, e da qualche settimana, per la seconda volta nella vita, anche Campione d’Italia. È la descrizione di Raffaele Scala, quarantaquattrenne di Pompei che da oltre vent’anni pratica il tiro al piattello (disciplina olimpica) e che si è recentemente aggiudicato insieme alla sua squadra, la T.a.v. Torretta di Pagani, il titolo tricolore. Una vittoria che vale un po’ di più perché a ottenerla è un uomo comune, che ogni giorno lotta per non abbandonare la sua passione nonostante i sacrifici che questa richiede. Proprio di quei sacrifici, e della soddisfazione arrivata con l’ultimo Campionato, abbiamo voluto farci raccontare qualcosa in più da lui.
Com’è iniziata la tua passione per il tiro a volo?
«In realtà quasi per caso. Io vengo da una famiglia di cacciatori e da ragazzo una volta mi è capitato di provare a tirare al piattello perché alcuni amici di mio padre lo facevano. Avevo circa diciassette anni. Da allora sono arrivate tante vittorie, tra cui due campionati con due società diverse, ma soprattutto ho vinto una sfida con me stesso. Io ho un handicap: vedo da un occhio solo. Ricordo ancora quando ho iniziato e mio padre, con le lacrime agli occhi, ha detto a mia madre “speriamo che ci riesca”».
E quanto è stato difficile riuscirci? È uno sport che ti richiede sacrifici?
«Sì, per me è una cosa che ho nel cuore da sempre, ma non è facile conciliarla con il resto.Io nella vita faccio il papà e lavoro nella nettezza urbana. Mi alzo alle quattro del mattino per andare a lavorare e poi mi dedico a mio figlio, un bambino di sei anni che ha problemi di autismo. Quando è nato lui, per un periodo ho abbandonato lo sport, ma poi mia moglie e i miei amici mi hanno invogliato a riprendere, così a gennaio sono arrivato alla Tav Torretta».
Poco dopo il tuo arrivo vi siete aggiudicati il titolo. È stato un campionato duro?
«Sì, innanzitutto abbiamo dovuto conquistare diversi piazzamenti a livello provinciale e regionale per ottenere la qualificazione alla finale. Poi siamo riusciti a vincerla per un piattello solo».
Ci racconti qualcosa in più del tiro al piattello? Perché avvicinarsi a questo sport e non ad esempio al calcio?
«Penso che sport come il calcio attirino di più solo per ragioni di natura economica. Ma il tiro al piattello ha il grande merito di insegnare l’educazione, una cosa importantissima secondo me. Da ragazzi spesso si fanno stupidaggini, ma un giovane che pratica il tiro al piattello sa che non deve attaccare briga o rispondere alle provocazioni, perché mettersi nei guai significa rischiare il porto d’armi e di conseguenza rinunciare al futuro che si potrebbe avere con questo sport. Certo, è vero che le armi spesso non vengono viste bene. Ma per noi il fucile è un oggetto, uno strumento. Non lo usiamo per fare del male, anzi. Il tiro al piattello insegna un uso responsabile delle armi, ci permette di conoscere gente da tutto il mondo e di stare all’aria aperta. È uno sport sano, anzi io penso sia un’arte, poi come tutte le arti può piacere o non piacere».
Raffaele ci ha raccontato anche che nonostante il suo sia tendenzialmente uno sport individuale, la forza del team diventa fondamentale in particolari competizioni come il campionato a squadre che la T.a.v. Torretta si è aggiudicata. Per questo ci ha tenuto a menzionare anche gli altri componenti del gruppo: Sebastiano Federico (anche lui di Pompei), Michele Langellotti, Giovanni Mora, Luigi Ferraro, Antonio Mellone e Carmine Conelli. Imprescindibile per il traguardo raggiunto anche il lavoro del coach Renato D’Uva.