Retina.it: 25 anni di musica elettronica a Pompei e nel mondo

In uscita la raccolta Last Day of Pompeii che “scava” nel repertorio del duo, ispirato a un concept “archeologico”

POMPEI. Affonda le radici nel 1994 il sodalizio musicale di Lino Monaco e Nicola Buono. Entrambi dj appassionati di musica elettronica, si incontrano per caso in un locale e tra una chiacchierata e l’altra iniziano ad immaginare un progetto comune. Quel progetto prende forma e si fa spazio nel panorama musicale internazionale, tanto che ad oggi i Retina.it (nella foto di Adelaide Di Nunzio) vantano successi e collaborazioni con artisti ed etichette celebri in tutto il mondo. Abbiamo fatto due chiacchiere con Lino Monaco per capire qualcosa in più dei Retina.it e della loro musica.

Partiamo dal nome: perché “Retina.it”?
«In realtà ci sono due chiavi di lettura. La retina è una parte dell’occhio, perciò il nostro nome richiama a ciò che riusciamo a captare dal mondo esterno. Retina, poi, dovrebbe essere una delle donne che circolavano intorno a Plinio e pare che gli mandò una lettera proprio mentre lui stava guardando il Vesuvio. Il “.it” lo abbiamo aggiunto in un secondo momento, ma per necessità, poiché in America esisteva un altro gruppo con lo stesso nome».

L’America è un passaggio quasi obbligato per chi fa musica elettronica. Ma qui al sud Italia, invece, che riscontro avete?
«Noi abbiamo suonato moltissimo al sud, ma sempre in contesti molto underground. Perché mentre all’estero questo genere appartiene a un filone ben consolidato, qui è considerato di nicchia. Io, Nicola e altri amici da quasi dieci anni organizziamo un festival che si chiama Sonic Subsidence al Pompei Lab. Con gli sforzi del volontariato sia del posto che nostro, siamo riusciti a far passare per Pompei degli artisti importantissimi, ma finora non siamo riusciti a farci notare. Purtroppo qui non c’è una cultura della musica elettronica».

E tu come ti ci sei avvicinato?
«Io la ascolto da quando ero adolescente. Ci sono arrivato un po’ per amicizie, un po’ leggendo i giornali, un po’ perché il mercato del pop all’epoca ne subiva molto l’influenza. Alla fine degli anni ’70 la musica elettronica arrivava prepotentemente nei canali mediatici e veniva utilizzata spessissimo sia nei film che negli sceneggiati. Insomma, l’elemento elettronico già veniva fuori con la modernità dei tempi ed è una cosa che mi sono portato dietro».

Il vostro è un lavoro continuo di ricerca del suono. È qualcosa che avete imparato da autodidatti o c’è dietro una precisa formazione?
«Quando abbiamo iniziato noi, non esisteva tutto ciò che esiste adesso intorno alla musica elettronica, quindi abbiamo ricavato tutto dall’esperienza, “smanettando” sulle apparecchiature. Siamo cresciuti con il nostro stesso lavoro, ma non abbiamo mai fatto corsi specifici. Nicola, tra l’altro, è anche bravo a costruire gli strumenti, così molte delle cose che abbiamo nello studio sono realizzate in maniera totalmente artigianale».

Ma è esclusivamente lavoro sul suono o la musica elettronica riesce a trasmettere un messaggio nonostante non ci sia il cantato?
«La musica elettronica è un contenitore vuoto. Il messaggio devi crearlo e contestualizzarlo tu. Un po’ come per l’arte contemporanea, che senza spiegazione a volte è difficile da comprendere. Per fare un esempio, noi a breve usciremo con una raccolta intitolata “Last day of Pompeii”, un omaggio a un quadro molto suggestivo che si trova a San Pietroburgo. Prendendo spunto dal dipinto, abbiamo realizzato questo disco con brani nostri, anche di diversi anni fa, dando alla compilation un concept legato a una ricerca quasi archeologica nella nostra musica. Alcuni brani hanno già nei titoli riferimenti alla nostra terra. Il contesto riesce a dare un significato, anche quando non c’è la parola».

Valentina Comiato

Valentina Comiato

24 anni, laureata in lingue ma con un innato amore per la penna. Per Made in Pompei scrive di piccole realtà, grandi talenti e bei progetti.

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