Religione e superstizione nell’antica Pompei

POMPEI. La vita cultuale e religiosa di Pompei era sicuramente attiva e complessa. I Romani avevano consentito una certa libertà religiosa e nei templi e nelle case si veneravano dei dalle provenienze più disparate. Il pantheon greco viene assimilato a quello romano e nei riti si affiancano anche divinità indigene, i cui culti risalivano a tempi antichissimi, oltre ad entità orientali e locali.

Del Pantheon greco-romano sicuramente un ruolo di spicco avevano Zeus-Giove, padre degli dei, Era-Giunone e Atena-Minerva, la cui triade era venerata nel tempio principale della città, il Capitolium, posto nel Foro di Pompei (foto di copertina).

Anche Apollo aveva un culto antico che risale al VI secolo a.C. e il cui tempio è sicuramente tra i più antichi di Pompei. L’area sacra comunicava direttamente con il Foro mediante una serie di aperture e nel corso del tempo la struttura ricevette ulteriori modifiche.

Il terremoto del 62 d.C. che distrusse molti edifici, creò ingenti danni anche al santuario, i cui restauri erano ancora in corso nell’anno dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Al culto di Venere è inoltre affidata la città, quando Silla ne fece dedurre una colonia nell’anno 80 a.C.: “Colonia Cornelia Veneria Pompeianorum”, amministrata da magistrati eletti annualmente.

Il tempio di Venere è forse tra gli edifici meno conosciuti della città, questo a causa forse della pessima conservazione in cui venne ritrovato al momento dello scavo nel 1900, ma in antico doveva godere di una splendida vista sul mare, proprio perché dalla terrazza artificiale su cui si ergeva proteggeva naviganti e marinai.

Altre divinità note, grazie anche ai tanti affreschi presenti nelle domus o negli edifici, sono Bacco, dio del vino e dell’ebbrezza (che proprio nel territorio vesuviano, grazie alla fertilità dei terreni, trova un’attività ricca e produttiva) e Iside, dea egizia a cui sono dedicati culti importanti in città e nell’intera zona campana.

Iside aveva poteri consolatori e prometteva felicità e salvezza. Il marito Osiride, invece, prometteva la resurrezione dei defunti, essendo egli stesso ritornato in vita dopo lo smembramento operato dal fratello. La dea, “maga” dai poteri misteriosi, aveva disperatamente cercato il corpo del marito e man mano aveva riassemblato ogni singolo pezzo.

La sua vita, però, metteva in discussione il Mos Maiorum romano, in quanto la dea si diceva fosse stata prostituta a Tiro per dieci anni e anche i suoi adepti, circondati però dalla segretezza tipica dei culti misterici, esercitavano la prostituzione.

Nonostante queste dicerie, il culto di Iside rimase sempre uno dei più diffusi anche a Pompei e il tempio dedicato alla dea in città fu uno dei primi edifici ricostruiti dopo il terremoto del 62 d.C. dalla famiglia dei Popidi, che si erano accollati la spesa in cambio di un posto politico nella magistratura locale.

Di fondamentale importanza, oltre alla sfera religiosa pubblica, anche quella privata e le domus di Pompei, in tal senso, hanno fornito agli studiosi diverse testimonianze di culto domestico.

Le divinità onorate nelle case erano numerose, tra queste spiccano sicuramente Venere e Vesta, ma il culto familiare per eccellenza è quello degli antenati, le cui anime si riteneva continuassero a vivere anche dopo la morte e per questo dovevano essere nutrite con rituali specifici.

Le principali divinità familiari erano i Penati e i Lari, protettori della casa e della famiglia a cui appartenevano in vita. I riti dedicati a loro prevedevano il nutrimento direttamente “dal suolo”, poiché si pensava vivessero nel pavimento e per questo il cibo caduto a terra durante i pasti non veniva spazzato via.

I Pompeiani erano superstiziosi? La risposa è sì. Per propiziare la fortuna venivano usate le “mani pantee” cioè mani di bronzo con tre dita sollevate nel gesto della “benedizione” latina.

Tra indice e medio, stava un’immagine seduta del dio Sabazio con diversi simboli come il serpente, lo scarabeo, il rospo, la pigna o l’uccello. Sul polso, invece, vi era un’immagine di donna con bambino, che ha fatto pensare ad una protezione di queste mani specifica per la maternità e l’allattamento.

Ma il simbolo per eccellenza e il più diffuso a Pompei per propiziarsi la sorte era il fallo eretto, simbolo di fecondità, di ricchezza e della potenza virile. Quasi ovunque è raffigurato in città; su rilievi, su graffiti, il fallo ornava botteghe e case, spesso nella persona del dio Priapo, il dio dal fallo eretto.

Alessandra Randazzo

Alessandra Randazzo

Classicista e comunicatrice. Si occupa di beni culturali per riviste di settore.

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