Il teschio di Plinio il Vecchio: un “cold case” durato oltre un secolo
POMPEI. Potrebbe essere proprio di Plinio il Vecchio il “misterioso” cranio da anni conservato presso il museo dell’Accademia di Arte Sanitaria di Roma (foto Ansa/Cionci). Il “cold case” dai contorni storico-archeologici sarebbe stato finalmente risolto, a più di cento anni dal ritrovamento dei resti, dai recenti risultati di analisi isotopiche (sullo smalto dei denti) e osteologiche (sulla calotta cranica), durate circa due anni (tra il 2018 e il 2019), coordinate dal giornalista Andrea Cionci e condotte da un team formato da esperti del Cnr e delle Università “Sapienza” di Roma, di Firenze e di Macerata.
La figura di Plinio il Vecchio è stata fondamentale nella storia della tragica fine di Pompei e delle altre città vesuviane. Quando nel 79 d.C. il Vesuvio diede fondo a tutta la sua potenza distruttiva Plinio era capo di stato maggiore della Marina romana e comandava la flotta ormeggiata a Capo Miseno. Intuì la portata della catastrofe e mobilitò le sue quadriremi per salvare i cittadini ammassati sulla costa da Ercolano a Stabia: fu la prima operazione di Protezione Civile della storia.
Sulla questione interviene l’ingegnere Flavio Russo, che con i libri “79 d.C., Rotta su Pompei” e “Era Plinio?” ha offerto un contributo determinante alla ricostruzione storica delle ultime ore di vita dell’ammiraglio romano e, soprattutto, ha fornito elementi utili ad avviare le indagini scientifiche sull’effettiva appartenenza o meno a Plinio dei resti conservati a Roma, che hanno messo fine a un controverso enigma protrattosi dal 1901.
Gli esami isotopici sullo smalto dei denti hanno confermato che si tratta di un soggetto cresciuto nei luoghi natii di Plinio (ovvero Como), mentre quelle osteologiche sul cranio hanno provato che apparteneva ad una persona di 56,2 anni di età.
Ed è noto che Plinio aveva 56 anni compiuti quando perse la vita nel tentativo (non riuscito) salvare le vittime dell’eruzione. «Con una quasi assoluta certezza – dice quindi Flavio Russo – quel teschio, oltre ai suoi 37 libri, è quanto resta del grande naturalista romano».
L’ingegnere ripercorre le principali tappe della vicenda: «Durante degli scavi archeologici privati intrapresi nel 1901 dall’ingegner Gennaro Matrone, a poca distanza dall’attuale foce del Sarno, tornarono alla luce insieme ai ruderi di una villa romana e di pertinenze portuali, anche una settantina di scheletri appartenenti a vittime dell’eruzione del 79 d.C.».
«A brevissima distanza dal gruppo – prosegue – si scorsero i resti di un personaggio senza dubbio preminente, con indosso tra collana, armille e anelli oltre un chilo e mezzo di oro, con al fianco un vistoso gladio dall’elsa d’avorio e di ambra con incisioni e puntale in oro al pari degli ornati a forma di conchiglia sul fodero». «La singolarità del rinvenimento – aggiunge l’ingegnere – e la valutazione dei suoi tanti preziosi ornamenti come distintivi di un altissimo grado militare, fecero ravvisare in quelle povere ossa le spoglie di Plinio il Vecchio».
«Ma la sagace interpretazione – racconta ancora lo studioso – fu presto dileggiata con sufficienza culturale. La logica cedette il posto alla pseudo-cultura e della suggestiva identificazione non se ne parlò più. Il Matrone trattenne il teschio, serbando in cuor suo la confortante certezza che fosse quello di Plinio il Vecchio».
«Non a caso – conclude Flavio Russo – con tale indicazione lo stesso teschio è custodito nel Museo dell’Arte Sanitaria di Roma, in una apposita teca, dopo esservi pervenuto per vie tortuose quanto incerte». Ma il tempo è galantuomo e moltissimi dopo è arrivata la conferma dell’intuizione di Gennaro Matrone, cui si deve la scoperta del “cranio di Plinio”.