I palazzi scomparsi di Pompei: ecco la storia dell’ultima dimora di Bartolo Longo
POMPEI. Il palazzo dell’avvocato Bartolo Longo, l’ultima dimora del fondatore della “nuova Pompei”, che vi abitò dopo il matrimonio con la contessa Marianna Farnararo (sposata il 1° aprile del 1885), fu probabilmente uno dei più antichi della Valle, dopo la Taverna di Valle (detta anche Casino De Fusco, ricovero per viandanti menzionato per la prima volta nell’anno 1695, dal 1815 divenuta proprietà del Principe di Valle Francesco Pignatelli e poi nel 1827 venduta al Conte Francesco De Fusco).
Dal “sacrificio” di questo immobile molto grande, composto da lunghe balconate, e della Taverna, nacque la grande piazza antistante il Santuario della Vergine di Pompei. L’avvocato Bartolo Longo l’acquistò dalla contessina Giovanna De Fusco (fu Albenzio) e lo fece ristrutturare ed arricchire di nuove attività a sue spese.
Il palazzo (indicato dalla freccia nella foto di copertina) ricadeva nel Comune di Scafati e confinava a nord con la piazzetta antistante il Santuario, ad ovest con la via Sacra, ad est con la Taverna di Valle a sud con l’orfanotrofio delle suore del Sacro Cuore (fondato dalla signora Angelica Martinelli, sorella della madre della contessa De Fusco e amica stretta della Santa Caterina Volpicelli).
L’ingresso, sulla via Provinciale, era composto da un ampio androne con cortile interno; la struttura era formata da un pianterreno, un primo piano e un secondo piano. All’interno del cortile vi erano costruzioni incomplete, che avevano tutte accesso dal portone principale. I locali terranei a fronte strada erano 11 in totale, tutti locati ad uso negozio, di cui 7 sulla via Sacra e 4 sulla via Provinciale.
Ai piani superiori vi erano invece gli uffici di corrispondenza e l’abitazione di don Bartolo, che come accennavo prima, dopo una breve parentesi a Latiano (dettata dal decesso della sua consorte nel 1924) vi abitò fino alla sua morte, avvenuta il 5 ottobre del 1926. Mi fa piacere ricordare gli occupanti dei locali in fitto più conosciuti emersi dalle mie ricerche, per evitare che vengano cancellati definitivamente dalla memoria storica della nostra città.
Tra questi, partendo da via Sacra, c’era la Sezione di Stato Civile del Municipio di Scafati, di cui Valle di Pompei era frazione e dove i Valpompeiani residenti si recavano per la produzione di atti e documenti (la sezione rimase attiva fino al 1928, poi ci fu la nascita del Comune autonomo).
Il locale era proprio di fronte l’albergo-ristorante Santuario. All’angolo del palazzo, dove si incrociava via Sacra con la via Provinciale, vi era il negozio del barbiere di Bartolo Longo, che si chiamava Giovanni Ficuciello, al cui interno lavorava come apprendista il genero Luigi Spiezio, che aveva sposato sua figlia Chicchina (in seguito i coniugi Spiezio continuarono la loro attività spostandosi su via Piave, nel palazzo Iozzino).
Appena dopo il negozio del signor Ficuciello, affacciati sulla via Provinciale, vi erano altre tre attività commerciali: un fornaio, un negozio di souvenir ed infine un caffè-latteria (nella seconda foto, dopo il portone con vista da via Provinciale).
Il negozio di souvenir era in fitto ai parenti della Contessa de Fusco e vendeva principalmente oggetti, ricordi religiosi ed icone della Madonna del Rosario, mentre il fornaio e il caffè erano gestiti, rispettivamente, da don Vincenzo Sorrentino, detto “Vicienz’ ‘o farenaro” e l’altro dai suoi figli, i fratelli Sorrentino.
Uno dei due fratelli era il papà del compianto geometra comunale Vincenzo Sorrentino, il quale spesso raccontava che il papà era solito dire che dal loro caffè “si vedeva il quadro della Madonna”, essendo il negozio quasi in asse con la porta principale del Santuario.
Il 26 gennaio del 1925, con scrittura privata, l’avvocato Bartolo Longo vendette per 200mila lire il palazzo alla signora Francesca D’Agostino, moglie del nipote, l’ingegnere Bartolo Longo, ma si riservò il diritto di usufrutto del primo e secondo piano, per avere la possibilità di passare gli ultimi anni della sua vita in Valle di Pompei.
Aveva espresso questo desiderio di vendere il palazzo, e quindi la sua casa, per la sua tarda età e, soprattutto, per le conseguenti noie di amministrazione, rese più gravose da giudizi temerari iniziati dai parenti della sua defunta moglie. L’immobile fu infine demolito nel 1929.
La foto relativa è un documento eccezionale, ricavata da una vecchia cartolina che ha viaggiato tra gli anni 1929-30: ci mostra l’area dove sorgevano il palazzo, la taverna e l’Orfanotrofio delle suore del Sacro Cuore, che furono abbattuti a vantaggio della nuova piazza. Si notano ancora i cumuli di macerie delle strutture e una casetta, che però era parte integrante del cantiere edile di demolizione.