Torna a splendere il verde di Pompei: viaggio tra giardini, orti, frutteti e vigneti ritrovati
POMPEI. Immaginare Pompei come una città con ampi spazi dedicati al verde oggi è difficile. Ma grazie agli affreschi presenti in molte domus con raffigurazioni di giardini fantastici e agli ampi studi di archeobotanica, gli studiosi oggi sono riusciti a ricostruire quella che doveva essere l’area verde, sia di una residenza privata sia del verde pubblico.
Nel momento stesso in cui la città tornò alla luce, il verde cominciava a ricoprire gli spazi, complice il fertile terreno vulcanico e la mitezza del dolce clima campano. Dopo il lockdown, Pompei ha riaperto nuovi percorsi “green” e abbiamo chiesto al funzionario architetto Paolo Mighetto, responsabile della manutenzione del verde del sito, di raccontarci dei progetti in corso e della città nei suoi ampi spazi di otium.
Il Parco Archeologico di Pompei ha appena inaugurato nuovi percorsi dedicati al verde. Ce ne può parlare?
«Con il nuovo programma di gestione del verde del Parco Archeologico di Pompei, avviato da circa un anno e fortemente voluto e sollecitato dal direttore generale Massimo Osanna, è stato possibile programmare il recupero di alcuni giardini all’interno delle Domus di Pompei, oltre alla manutenzione delle aree verdi sia all’interno del sito sia a perimetro, tanto che oggi l’immagine che il Parco offre ai visitatori è quella di uno stretto connubio tra architettura e verde, nel quadro di un ricco e variegato paesaggio archeologico. I visitatori, superato l’ingresso di Porta Anfiteatro, possono accedere nell’area verde della Palestra Grande e, intorno alla grande piscina, osservare i calchi delle radici dei platani che, in antico come oggi, in doppio filare, ombreggiavano i porticati; la passeggiata lungo la Necropoli di Porta Nocera è di estrema suggestione con i sepolcri immersi tra i cipressi, gli oleandri e i pendii verdi che risalgono verso le mura della città. Un paesaggio archeologico romantico e suggestivo che è simile a quello che si può scoprire alla parte opposta della città, poco dopo l’ingresso da Porta Marina, raggiungendo le Terme Suburbane di recente riapertura. Oggi è anche possibile vivere una nuova esperienza alla scoperta dei vigneti che, messi a dimora una ventina d’anni fa all’interno di diversi edifici antichi delle Regiones I e II in aree già in antico destinate al verde produttivo, coprono un’estensione di oltre un ettaro; per la prima volta è oggi possibile camminare tra le viti dell’Orto dei Fuggiaschi e della Casa della Nave Europa. Proprio la Casa della Nave Europa ha visto il recupero del giardino del peristilio e lì, poco distante, la Casa del Menandro è stata riaperta con un nuovo percorso interno che offre la possibilità di ammirare, nei quartieri rustici, il Cisium, il carro antico ricostruito filologicamente da Amedeo Maiuri, prima di accedere al grande peristilio colonnato con le spettacolari siepi di mirto alternate a bossi balearici potati secondo le regole dell’Ars Topiaria. Usciti dalla domus del Menandro anche la Casa dell’Efebo, lì accanto, presenta una nuova sistemazione delle aree verdi del piccolo giardino colonnato e di una porzione del viridario superiore. Ancora, nella Regio I si può entrare nella domus degli Amanti, una delle poche a Pompei dove si è conservato il secondo piano e dove si scopre la celebre iscrizione che inneggia all’amore “dolce come miele” accanto al giardino da poco rinnovato con siepi di bosso che corrono concentriche a seguire il perimetro mistilineo del muretto intonacato che in antico adduceva l’acqua al giardino. Risalendo lungo Via dell’Abbondanza altri interventi di manutenzione consentono oggi di apprezzare nuovamente il rapporto stretto tra architettura e verde che caratterizzava le domus pompeiane e un altro esempio mirabile, questa volta sulla Via di Vesuvio, è la Domus degli Amorini Dorati. Scoprire tanti esempi lungo i percorsi di visita è oggi un’opportunità unica che si offre agli occhi dei visitatori di Pompei».
Il tessuto urbano della città antica ha forse, nell’immaginario collettivo, un impatto maggiore rispetto allo spazio dedicato al verde e agli orti produttivi. Quanto il mondo antico ha invece dedicato spazi appositi?
«Dobbiamo considerare che l’eruzione, come è ovvio, ha cancellato ogni traccia in elevato del verde, sia per il calore sia per la successiva decomposizione di quanto fu avvolto da ceneri e lapilli. Solo con la tecnica del calco di gesso, soprattutto a partire dalla metà dell’Ottocento, e poi con le più moderne tecniche novecentesche dell’archeobotanica, della palinologia, cioè lo studio dei pollini, e con la ricostruzione della flora pompeiana, oltre ad una nuova attenzione anche per la ricostruzione del paesaggio antico, è stato possibile individuare le aree verdi decorative e produttive che costituivano parte integrante del tessuto e del paesaggio urbani di Pompei. Non solo giardini, ma anche orti, frutteti, vigneti, vivai di piante decorative e coronarie, quelle che venivano usate per intrecciare le corone e le ghirlande delle cerimonie civili e religiose. Un paesaggio che richiede un forte sforzo di immaginazione per essere ricostruito mentalmente dal visitatore ma che da alcuni anni è stato possibile ricostruire materialmente con la messa a dimora dei vigneti, quasi vent’anni fa, la formazione del vivaio della Casa di Pansa e dell’orto botanico nella Regio VIII, l’integrazione dei giardini di molte domus. Intendiamoci, lo stimolo di arricchire la percezione delle rovine con la vegetazione è un’idea pienamente romantica e fin dalla riscoperta di Pompei nasce la volontà di ricreare una qualche forma di paesaggio antico. È solo, però, con studi più recenti, soprattutto con il grande lavoro di Annamaria Ciarallo e con la paziente ricerca di studiosi come l’americana Wilhelmina Feemster Jashemski che è stato possibile individuare molte delle aree che in antico erano destinate a giardini, a orti e frutteti, a vivai produttivi, così come definire e studiare la flora pompeiana attraverso le evidenze archeologiche e botaniche. Sappiamo ormai compiutamente la dislocazione delle aree verdi all’interno del sito e i loro rapporti con il costruito, e non solo per la parte scavata, ma non sempre e anzi in pochi casi è possibile recuperare un sincero dialogo tra verde e domus, tra verde ed edifici pubblici, tra verde e tessuto urbano; non perché non ve ne sia l’interesse, ovviamente, ma perché in molti casi la messa a dimora della vegetazione potrebbe determinare il sacrificio o addirittura la perdita di strati archeologici. La storia della riscoperta di Pompei è anche la storia del gusto paesaggistico di questi ultimi due secoli e mezzo e Pompei offre un vero e proprio atlante di esperienze che dapprima seguono scelte dettate dal gusto e dalla moda delle diverse epoche, per poi convergere verso scelte scientifiche basate sulla documentazione archeologica. Può sembrare estraniante trovare tra le domus di Pompei piante esotiche come le altissime palme Washingtonia o le araucarie e altre sempreverdi esotiche, eppure anche quella presenza rappresenta la testimonianza del gusto dei decenni passati. Lo stesso, famigerato, ailanto, una delle specie più infestanti, era dapprima inteso come pianta decorativa prima di accorgersi della sua invadenza e pericolosità tanto da essere considerato un vero pericolo numero uno per la biodiversità e per la salvaguardia delle stesse rovine. Nella città antica il verde rappresentava un elemento strettamente connesso con la vita urbana e il verde produttivo che consentiva una certa autosufficienza alla città – senza dimenticare, tuttavia, che tutto il territorio extramuraneo era agricolo e produttivo con ville signorili al centro di floride aziende agricole – si alternava con i viridari e gli orti all’interno delle domus, tanto da costituire un unicum inscindibile tra architettura e verde e un’esigenza primaria della vita domestica così sentita da rappresentarlo in forma dipinta laddove non vi fosse lo spazio fisico per un giardino vero e proprio».
La Casa della Nave Europa si inserisce all’interno di abitazioni che hanno suddiviso il proprio spazio tra pars residenziale e pars produttiva. Quali interventi sono stati fatti sul verde dell’abitazione?
«La Domus della Nave Europa (nell’immagine di copertina, ndr) è uno dei tanti esempi, diffusi soprattutto nelle regiones I e II, di abitazione che non solo unisce alla residenza la parte produttiva ma manifesta ancora ai nostri occhi l’attività di commercio svolta del suo proprietario. Durante lo scavo condotto nel 1972 dalla Jashemski emerse un vero e proprio frutteto con orto testimoniato dai vuoti lasciati da 416 radici e gran parte del giardino era occupato da giovani viti, ancora senza pali di sostegno, poste alla distanza regolare di 4,5 piedi romani. Viti più mature o alberi erano nel giardino superiore mentre lungo il muro perimetrale erano semisepolte 28 olle pertusae, vasi con fori sul fondo per l’allevamento delle piante giovani. Due cisterne raccoglievano l’acqua piovana dai tetti e alimentavano il sistema di irrigazione. Nel peristilio sono stati rinvenuti resti di noccioli, di fichi, viti, un frammento di mandorlo, un seme di dattero e una gran quantità di fave. Purtroppo non è stato possibile individuare allineamenti o altre informazioni sulla disposizione del giardino e pertanto il progetto di sistemazione del giardino del peristilio ha adottato la scelta di richiamare un giardino produttivo, come doveva essere quello antico, che, al tempo stesso, accompagnasse alla funzione paesaggistica anche quella didattica. Come per gli altri giardini realizzati in questi mesi a Pompei, anche per questo il lavoro è stato eseguito nell’ambito del cantiere della manutenzione del verde attraverso una fattiva collaborazione multidisciplinare tra il Rup Annamaria Mauro, il sottoscritto come direttore dei lavori, le imprese Ream, Vivai Barretta e Flaminia Garden con il loro staff guidato dall’agronoma Rosa Verde e dal restauratore di giardini Maurizio Bartolini a cui si deve l’idea progettuale. Nel nuovo giardino del peristilio della Nave Europa il visitatore può ammirare un esempio della tecnica antica della vite maritata dove i tralci di vitigno Caprettone si avviluppano su alberi di pero posti agli angoli del piccolo giardino e si allungano a formarne il contorno con il sistema a festone semplice, sospesi su fioriture di iris. Il dialogo è qui con l’architettura circostante della domus ma si fa serrato anche con il vigneto lì accanto che rappresenta un tassello dell’ettaro di Pompei coltivato a vigneto produttivo».
L’ars topiaria o arte del giardinaggio non è un interesse certamente moderno e sui manuali che parlano proprio di verde l’arte di avere un giardino sapientemente curato con forme geometriche appartiene anche all’epoca romana. Come risponde Pompei a questa arte? Ci sono esempi di domus e di lavori moderni che utilizzano proprio questa tecnica?
«L’ars topiaria è descritta tra gli altri anche da Plinio il Vecchio e consisteva nel manipolare i giardini in forme illusorie o anche, in buona sostanza, nel sagomare le siepi di piante sempreverdi secondo forme geometriche o su strutture dalla forma particolare. È un’arte che richiede ampi spazi per ottenere i voluti effetti scenografici e tra i giardini di Pompei solo uno nella Regio I, insula XII, sembra presentare resti che attesterebbero l’uso di questa tecnica con l’ausilio di strutture sagomate. Si usavano piante di facile potatura o anche specie flessibili e intrecciabili come i salici o i vimini per realizzare arcate e quinte verdi entro le quali incorniciare affreschi e dipinti in vere e proprie scenografie verdi. Oggi, senza dati archeologici non possiamo riproporre la complessità di tali scenografie verdi ma possiamo invece richiamare l’arte dei topiarii nel sagomare le siepi e gli arbusti secondo forme geometriche che si armonizzino con gli spazi delle domus nel ricreare quel paesaggio domestico che era caratteristico di Pompei e delle città romane. I bossi balearici a forma di cono della Casa del Menandro, il tasso piramidale al centro del giardino della Casa degli Amanti, gli elementi del giardino della Casa degli Amorini dorati ma anche le siepi di mirto e di bosso della cosiddetta Passeggiata Archeologica che da Porta Esedra conduce a Porta Marina costeggiando Villa Imperiale sono degli esempi da scoprire nel sito. Quest’anno, poi, si è avviata una nuova potatura di formazione dei lecci dell’esedra di Porta Anfiteatro che nei prossimi anni, con una paziente opera tonsilia, come chiamavano le potature gli antichi, permetterà di realizzare una nuova immagine dell’ingresso al Parco».
Ci sono domus a Pompei che già in antico splendevano per bellezza relativa proprio al verde?
«Gli scavi di molte domus hanno rivelato la delimitazione delle aiuole dei giardini interni e il loro disegno, insieme all’allineamento di canalette, alle tracce di grillages, ai fori delle radici o di sostegni e tutori, agli elementi di arredo. Tutti questi dati permettono di ricostruire un’immagine più o meno dettagliata dei giardini della Casa dei Vettii come di quella dei Casti Amanti, della Casa del Centenario e della casa delle Nozze d’Argento, quelle di Pansa e di Marco Frontone, per fare degli esempi. In verità quasi tutte le domus avevano un viridario, spesso aree verdi piccole o minuscole che però consentivano di coltivare specie ornamentali o officinali o utili. La domus di Loreio Tiburtino aveva invece l’area verde privata più ampia di Pompei e si trattava di un vero e proprio parco alimentato dall’acquedotto e con filari di platani che formavano un ideale pendant con quelli della vicina Palestra Grande, associati a viti, mandorli, cotogni e altri alberi da frutto. Oggi, visitare il vasto giardino da l’opportunità di leggerne le ipotesi ricostruttive di Vittorio Spinazzola e poi di Amedeo Maiuri e Roberto Pane, integrate dai successivi interventi botanici, in un contesto davvero unico e scenografico dove architettura, verde e acqua intessono un dialogo serrato. Purtroppo non è oggi visibile, per la presenza del cantiere di restauro, il giardino dei Vettii, il primo scavato a Pompei con metodo stratigrafico, ma possiamo rivivere ogni giorno lo splendore del giardino e del frutteto della domus di Giulia Felice, riordinati nel 2015 nella loro perfetta integrazione tra verde e architettura a dimostrazione della piacevolezza e della raffinatezza della vita domestica pompeiana».
Quali lavori sta portando avanti il Parco relativamente a spazi verdi sia all’interno di abitazioni che sull’intera area archeologica?
«Se ci capita di osservare il territorio alle pendici del Vesuvio dai monti Lattari, al di là del fiume Sarno e dalle terrazze di Lettere o Gragnano, l’area del Parco archeologico risalta come un presidio verde nel fittissimo tessuto costruito; i 66 ettari del sito archeologico sono immersi in una vera e propria cintura verde che, estesa complessivamente per quasi 100 ettari totali, è frutto delle scelte lungimiranti dei soprintendenti del passato e che oggi rappresenta un patrimonio unico di biodiversità e paesaggio. Per questo il direttore Osanna ci stimola quotidianamente a prestare la massima attenzione nella cura di quel patrimonio e nell’adottare ogni azione che possa preservarlo e valorizzarlo. Il procedere dei nuovi cantieri e la riapertura delle domus si accompagna spesso e con sempre maggiore frequenza al recupero dei giardini storici e storicizzati, o alla proposta di nuovi giardini nelle aree verdi originarie, laddove non ci sia il rischio di sacrificare gli strati archeologici, tanto che oggi è possibile proporre percorsi verdi di estremo interesse e fascino all’interno della città antica. Si inserisce in questi interventi anche la volontà di recuperare alla fruizione e alla loro funzione didattica il vivaio della Regio VI, nell’area posteriore della Casa di Pansa, e l’orto botanico della Regio VIII, quali vere e proprie nursery di quelle specie che costituiscono la Flora pompeiana e che spesso si ritrovano ormai solo nel Parco come l’asfodelo tenuifolio, il papavero giallo, l’iris fetidissima, il non-ti-scordar-di-me e tante altre ancora. L’apertura dei nuovi uffici di Porta Stabia porta con sé un raffinato giardino delle sculture ed è in corso di completamento la riprogettazione di una parte della cintura perimetrale extramoenia che, a partire dal riordino della Pineta, necessario dopo il diradamento dei pini malati, consentirà di collegare Porta Esedra a San Paolino e oltre, recuperando l’immagine verde del Parco verso la città moderna e collegandosi al circuito paesaggistico extramuraneo realizzato alla fine degli anni Novanta».
Il sito archeologico di Pompei vuole fare rete con il territorio per diventare, soprattutto in questo delicato momento sanitario, inclusivo con la città. Si è pensato di dedicare aree non archeologiche all’interno del sito per attività di parco urbano con lo scopo precipuo di fornire uno spazio ricreativo?
«Aprirsi al territorio circostante in un proficuo dialogo con le comunità che gravitano intorno al Parco è uno degli obiettivi preminenti dell’amministrazione e, soprattutto in questo momento di crisi, la riapertura al pubblico di Pompei dopo il lockdown, pur con le sue innegabili criticità, ha rappresentato un grande segno di rinascita e, penso, anche una luce di speranza per le attività commerciali e imprenditoriali del territorio. La riapertura del sito ha tra l’altro permesso ai visitatori di scoprire luoghi meno noti, percorsi inediti e nuovi giardini e aree verdi all’interno del sito antico. Pompei è un vero e proprio parco pubblico e comprende diverse aree di svago che però hanno adesso bisogno di un riordino e di un rilancio. Una di queste è l’area pic-nic di Porta Anfiteatro che sarà riportata a nuova vita, ma soprattutto si sente l’esigenza di far diventare la grande Pineta lungo viale Plinio un vero e proprio parco urbano aperto alla città. È ormai quasi completata la progettazione e i lavori potranno prendere avvio alla fine dell’estate per poi proseguire nella stagione migliore per la messa a dimora delle piante».
Wilhelmina Jashemski e Annamaria Ciarallo sono state due grandi studiose del verde a Pompei. Quali informazioni ci hanno trasmesso e che importanza hanno?
«Annamaria Ciarallo è stata una figura preziosa e unica per la conservazione del verde di Pompei e, soprattutto, per la conoscenza scientifica della flora, del paesaggio antico, delle tecniche di coltivazione antiche non solo di Pompei ma dell’area vesuviana e del Sarno. Biologa e naturalista, ha fondato nel 1994, e diretto fino al 2011, quel vero e proprio gioiello per la ricerca sui reperti organici che è il Laboratorio di Ricerche Applicate degli Scavi nell’antica Direzione Fiorelli di Via Consolare. Il suo volume sulla Flora pompeiana, pubblicato nel 2004, costituisce con il catalogo delle oltre 200 specie che la compongono un patrimonio di informazioni imprescindibile per chi si occupa del verde pompeiano. Altra donna fondamentale per Pompei e per la conoscenza del verde antico è la statunitense Wilhelmina Feemster Jashemski il cui volume The Gardens of Pompeii uscì a New York nel 1979, frutto di lunghi anni di lavoro a Pompei, Ercolano, Oplonti e Boscoreale. La Jashemski riesce a esaminare ogni giardino emerso dagli scavi dei siti vesuviani dal 1955 alla fine degli anni Settanta e poi ancora negli anni seguenti aggiornando l’edizione del prezioso volume. Ricchissimi di informazioni e dati scientifici sugli scavi dei giardini e delle aree verdi, sulle tecniche di coltura, sugli arredi e sulle pitture di giardino, gli studi della Jashemski sono fondamentali per chi voglia occuparsi dei giardini di Pompei».
Quali specie erano maggiormente diffuse nei giardini di Pompei?
«Molti giardini pompeiani erano votati all’utilità e alle attività commerciali e abbondavano, oltre ai vigneti, colture legate ad attività artigianali come quelle legate alla preparazione di unguenti e profumi. Ogni casa aveva poi la propria farmacia nelle specie che erano ritenute officinali e curative come il crescione, la rucola o la panacea, l’assenzio e le rose. Una curiosità è che il limone, appena arrivato dall’Oriente, era allora ritenuto una pianta medicinale così come il basilico o il rosmarino. Erano molto diffuse le piante coronarie, cioè quelle utilizzate per le cerimonie religiose come calendule, narcisi, giacinti. Le cipolle di Pompei erano apprezzate e conosciute in tutt’Italia ma gli orti di Pompei producevano anche asparagi, aglio, cavoli e broccoli, carciofi. Frutta poca, per problemi di conservazione ma non mancavano noccioli, peri, meli, fichi, uve oltre a cetrioli e meloni, a pesche e albicocche che, anch’esse di fresca importazione orientale, erano considerate rarità. Le specie ornamentali sono le più varie ed erano presenti a Pompei tutte quelle disponibili nel Mediterraneo e nei nuovi territori dell’Impero in via di rapida espansione. Rose e ginepri, viti, pruni, olivi, ciliegi, melograni, cipressi, querce, pini, frassini, oleandri, felci, artemisie, mirto, bosso, alloro, biancospino e tanti altri ancora, testimoniati dalle indagini dei pollini, dei semi e dei frutti tramandatici dall’eruzione».
Il sito di Pompei riscontra problemi relativamente al mantenimento del verde?
«Un parco di oltre 100 ettari frequentato fino a qualche mese fa da quattro milioni di visitatori è una sfida manutentiva enorme, soprattutto considerando che un programma di manutenzione programmata triennale è stato riavviato solo un anno fa dopo un periodo di stasi. È una macchina che deve andare progressivamente a regime nella quotidiana emergenza che si manifesta nella senescenza dei pini, nel costante diserbo delle domus e degli spazi pubblici antichi, nella realizzazione di nuovi giardini interni ed esterni al sito antico. Dall’inizio del lockdown il cantiere del verde è stato l’unico a restare sempre attivo, pur se necessariamente ridotto, per garantire la tenuta delle nuove piante, le bagnature e i diserbi senza i quali le infestanti avrebbero preso il sopravvento. I cambiamenti del clima offrono evidentemente nuovi problemi e questi ultimi mesi di maggio, giugno e luglio ci hanno fatto disperare perché siamo stati costretti a moltiplicare i tagli dell’erba a causa di una crescita anomala dovuta a caldo e umidità. Alcune aree che negli anni passati erano destinate all’uso agricolo devono ancora essere pienamente integrate nei programmi di manutenzione e alcuni cantieri rappresentano ulteriori motivi di criticità per la tenuta del verde. Con la manutenzione programmata il Parco si presenta oggi agli occhi dei visitatori con una nuova immagine del suo verde ma ancora tanto resta da fare per definire e programmare il paesaggio pompeiano dei prossimi decenni, definire delle regole di gestione e programmazione di lungo termine, offrire ai turisti sempre nuove scoperte e curiosità».