Dalla Natura alla Pittura: a Napoli la grande mostra dedicata a Luca Giordano
NAPOLI. La mostra “Luca Giordano. Dalla Natura alla Pittura” (8 ottobre 2020-10 gennaio 2021), a cura di Stefano Causa e Patrizia Piscitello, è un’idea di Sylvain Bellenger, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte e di Christophe Leribault, direttore del Petit Palais di Parigi, dove si è svolta la prima esposizione dal titolo “Luca Giordano. Le triomphe de la peinture napolitaine” (14 novembre 2019 al 23 febbraio 2020) che, insieme alla mostra su Gemito, ha completato “la stagione napoletana” dell’autunno 2019 nel cuore della capitale francese.
«In questa seconda tappa, a Napoli – afferma il direttore Sylvain Bellenger – Giordano ci viene raccontato come non lo è mai stato prima, diversamente da Parigi. Sebbene Giordano abbia contato molto per i francesi, non lo si poteva presentare allo stesso modo ai napoletani, che sono abituati a incontrarlo frequentemente, a volte senza riconoscerlo, nel loro museo o nelle loro chiese».
«I curatori – ha aggiunto – hanno saputo ricollocare la particolarità del grande pittore e anche pensarlo nel contesto delle chiese napoletane, poiché in fondo è a Napoli e soprattutto nello spazio delle architetture barocche, più ancora che nei musei, che Giordano si mostra in tutta la sua dimensione e dà prova del mestiere e della visione che porterà fino in Spagna, con i rapimenti trionfanti e gioiosi che rendono il monastero dell’Escorial un luogo un po’ meno austero».
La mostra, dedicata a Ferdinando Bologna, si articola in 10 sezioni con oltre 90 opere, molte delle quali provenienti da importanti musei e istituzioni estere (Louvre, Prado, Patrimonio Nacional, Fondazione Santamarca e molte altre) e italiane (Palazzo Abatellis, Pinacoteca nazionale di Bologna, Musei civili di Vicenza) e, in particolare, napoletane (Complesso dei Girolamini, Curia di Napoli, Museo e Certosa di San Martino, Museo Duca di Martina, Museo del Tesoro di San Gennaro, Pio Monte della Misericordia, Società italiana di Storia Patria e molti altri).
L’allestimento in sala Causa, a cura di Roberto Cremascoli con Flavia Chiavaroli (Cor Arquitectos) conserva gli spazi della mostra Caravaggio Napoli ma ne ribalta il senso: dai vicoli di Napoli si passa ai salotti seicenteschi con una nuova sequenza espositiva che diventa un susseguirsi di “stanze delle meraviglie”.
La mostra termina con un’installazione multimediale interattiva progettata e realizzata da Stefano Gargiulo (Kaos Produzioni) con l’intento di mostrare alcuni dei luoghi e delle opere affrescate dall’artista a Napoli: nella chiesa di San Gregorio Armeno, di Santa Brigida, alla Certosa di San Martino e nei Girolamini.
Un vero e proprio invito rivolto al visitatore a proseguire la visita nella città di Napoli, alla ricerca delle opere di Luca Giordano nelle principali chiese e luoghi culturali cittadini.
Luca Giordano nasce a Napoli il 18 ottobre 1634. Appena ventenne, tra il 1654 e 1655, realizza due dipinti per la chiesa di San Pietro ad Aram e la pala del transetto della chiesa di Santa Brigida.
Nei primi anni si muove nel solco di Jusepe Ribera, il maestro che gli resta dentro e che sarà come una guida per la sua vorace capacità di apprendimento, grazie alla quale assimila le esperienze di Tiziano, Lanfranco, Cortona e Rubens.
Fondamentali i viaggi giovanili a Roma, Venezia e Firenze. Proprio a Firenze, Giordano mette a punto un progetto di decorazione illusionistica e continua degli spazi che a Napoli non aveva mai attecchito: nella cappella Corsini della chiesa del Carmine, e soprattutto negli affreschi di Palazzo Medici Riccardi.
Le committenze per le maggiori chiese e per l’alta aristocrazia napoletana e spagnola aprono la strada al lungo soggiorno a Madrid, nell’ultimo decennio del ‘600.
Resta in Spagna per circa dieci anni, lavorando con un’alacrità senza confronti e producendo una sterminata quantità di tele e di affreschi, tra residenze Reali e chiese sotto l’alto patronato della Corona. Nel 1694, la consegna delle chiavi dello Studio del Palazzo da parte del Sovrano Carlo II lo consacra capo dei pittori della corte.
Giordano trascorre gli ultimi anni di vita a Napoli, lavorando per la Certosa di San Martino e per le chiese dei Girolamini e di Donnaregina. Muore nel 1705, ed è sepolto nella chiesa di Santa Brigida di Napoli.
Luca Giordano è senz’altro il più grande pittore napoletano del ‘600, oltre che il più prolifico con migliaia di disegni, dipinti e affreschi al punto da guadagnarsi l’appellativo di “Luca fa presto”.
È l’ultimo dei maestri napoletani da esportazione: da giovane soggiorna a Roma, dove osserva e disegna tutto, da Raffaello a Caravaggio, ma il suo sogno è eguagliare i maestri del Rinascimento veneto, Tiziano e Tintoretto passando per Veronese, che ha imparato ad amare attraverso Ribera e Mattia Preti.
A Napoli è il primo a liquidare gli eroici furori della pittura caravaggesca con una scrittura spregiudicata e colorata. Insofferente dei limiti della cornice amplia la scelta dei soggetti che, tra gli amici del Caravaggio, si limitava a una rosa tutto sommato ristretta.
«Giordano reinventa il barocco romano in una versione aggressiva e come scatenata: Rubens, Cortona e Bernini stanno sempre alle spalle. Ma si capisce che per saltar meglio ha preso la rincorsa lunga scegliendosi, tra i maestri, Tiziano e Veronese» affermano i curatori Stefano Causa e Patrizia Piscitello.
Dalla fine degli anni sessanta, Giordano riesce a farsi un nome sul mercato difficile e concorrenziale della città dei dogi. In seguito la fama di Giordano si espande così rapidamente oltre i confini del Vicereame spagnolo che il pittore è chiamato a Firenze, dove giunge per la prima volta nel 1682.
Grazie ai suoi viaggi, Giordano diventa il pittore napoletano più importante e conosciuto, tanto che nel 1692 viene chiamato a dar prova del suo talento in Spagna, dove si fermerà per dieci anni. Sarà nominato pittore del Re e realizzerà un’incredibile quantità di quadri e di affreschi.
«Poco più che cinquantenne (età che per l’epoca era vecchiaia piena) si trasferisse in Spagna, diventando pittore di corte e decorando pareti su pareti tra Madrid e l’Escorial. Giordano diventa il maggiore pittore spagnolo tra Velazquez e Picasso» affermano i curatori.
Tutti i ricercatori moderni si sono interessati a Giordano. Roberto Longhi (1890-1970), lo ammirava molto, ha scritto su di lui alcune pagine fondamentali, ma la prima monografia importante su Luca Giordano arriva solo del 1966, ma già si compone di tre volumi. Giordano è stato studiato inoltre dai compianti Ferdinando Bologna (1925-2019) e Raffaello Causa (1923-1984).
La mostra “Luca Giordano. Dalla Natura alla Pittura” offre un ulteriore contributo alla conoscenza dell’artista, restituendo alla virtuosità il suo prestigio e al grande artista napoletano il posto che gli spetta nell’universo dei pittori.
Negli spazi espositivi della sala Causa, al Museo e Real Bosco di Capodimonte, sarà possibile ristudiare capolavori provenienti dalla pinacoteca stessa, insieme a opere delle principali raccolte italiane ed europee.
L’allestimento dell’architetto Roberto Cremascoli fa riprecipitare Giordano in un arredo barocco liberandolo dai vincoli di un museo moderno.
Giordano si vedrà documentato nelle fasi salienti del suo lavoro che, per familiarizzarsi con il suo linguaggio proteiforme, è messo in dialogo con alcuni dei suoi maestri, dei compagni di strada e dei contemporanei che provarono a eguagliarne lo stile o, più saggiamente, se ne distanziarono (Jusepe de Ribera, Lanfranco, Pietro da Cortona, Mattia Preti, Micco Spadaro, Andrea e Lorenzo Vaccaro, Pacecco de Rosa, Giuseppe Recco, Giuseppe De Maria e altri).
Alcuni dei più vividi riflessi di Giordano si ritroveranno in artisti a lui affini, che sperimentarono però tecniche diverse: dalla pittura su vetro alle ceramiche alle nature morte.
L’allestimento della mostra “Luca Giordano. Dalla Natura alla Pittura” al Museo Real Bosco di Capodimonte è curato da Cor arquitectos (Roberto Cremascoli, Edison Okumura, Marta Rodrigues) con Flavia Chiavaroli e occupa gli spazi della sala Causa, stesse professionalità che avevano già lavorato all’allestimento della mostra Caravaggio Napoli (12 aprile-14 luglio 2019), nel quale furono “ricostruiti” i vicoli di Napoli. Ora la “messa in scena” della città di Caravaggio diventa quella di Luca Giordano, dai vicoli si passa ai salotti, si trasformano gli stessi spazi definendo una nuova sequenza espositiva.
Dall’interpretazione dei salotti seicenteschi napoletani nasce un percorso tra le sale che diventa un susseguirsi di “stanze delle meraviglie”, Wunderkammer con quadreria, carta da parati e boiserie di color rosso scuro: ambienti in grado di raccontare l’atmosfera vissuta dal grande pittore napoletano.
I materiali di finitura sembrano consumati dal tempo come la carta da parati che simula la tappezzeria antica. Ogni “sala-salotto” ha una carta con lo stesso disegno, ma di tonalità diverse. Le sale introduttive e quelle finali, con la ricostruzione della Cappelletta Girolamini, saranno dipinte con colorazioni di tonalità “bruciata” riprese dalla natura. Lo spazio dell’allestimento diventa una stratigrafia del racconto espositivo.
Una diversità di allestimento – pur negli stessi spazi espositivi – che sottolinea la differente cifra stilistica fra Caravaggio e Luca Giordano. Lo sottolineano bene i curatori Causa e Piscitello:
«Caravaggio non ha disegnato (non nel senso accademico del termine), e men che mai affrescato; Giordano invece è autore di alcuni dei fogli più strepitosi del ‘600 oltre ad aver dipinto, letteralmente, chilometri di affresco. Caravaggio ha il diavolo in corpo del vero e procede dalla pittura alla natura; Giordano fa il percorso inverso. La Pittura gli interessa mille volte di più».
«D’altronde – aggiungono – mentre Caravaggio era ciò che si dice un cattivo ragazzo; Giordano è un integerrimo padre di famiglia. Per viaggiare, viaggiò: ma spinto dall’odore dei soldi. Gli spostamenti di Caravaggio disegnano l’itinerario di un fuggiasco; quelli di Giordano sono un modello di strategia autopromozionale. I panni dell’artista maledetto gli avrebbero solo rallentato il passo».
La mostra, dedicata a Ferdinando Bologna, si articola in 10 sezioni e termina in un’installazione intermediale progettata e realizzata da Stefano Gargiulo (Kaos Produzioni) con l’intento di mostrare alcuni dei luoghi e delle opere affrescate dall’artista a Napoli: nella chiesa di San Gregorio Armeno, di Santa Brigida, alla Certosa di San Martino e nei Girolamini.
Il progetto site specific ripropone una piccola cappella dove negli archi e nelle volte traspirano le immagini e i suoni del mondo napoletano e degli affreschi di Luca Giordano.
Il visitatore viene invitato ad interagire con le candele votive poste al centro dell’ambiente, un fulcro simbolico dove attivare gli scenari che trasformano lo spazio, tra la realtà degli affreschi del Maestro e l’illusione delle tecnologie digitali.
La sala multimediale è un invito al viaggio. Luca Giordano è un pittore da osservare dal vivo, preferibilmente nei contesti originari di chiese o palazzi (Giordano non è mai stato davvero a suo agio negli allestimenti museali).
Per questo la mostra a Capodimonte su Giordano vuole stimolare nel pubblico la curiosità di andare a vedere gli affreschi spagnoli e italiani, a cominciare da quelli presenti nella città di Napoli, nelle chiese e nei principali luoghi di cultura.
Come salta all’occhio dalla breve antologia, radunata a mo’ di ouverture, Giordano è un disegnatore pittorico e scenografico: dipinge anche quando disegna. Si può dire che oggi le piste più promettenti sul pittore provengano proprio dal settore della grafica.
“Giordano fu il prototipo dell’artista ambulante… La rapidità con cui produceva le sue grandi improvvisazioni fu proverbiale… considerava l’intero passato un libro aperto da usarsi per i propri scopi. Studiò Durer come Lucas van Leyden, Rubens come Rembrandt, Ribera come il Veronese, Tiziano come Raffaello ed era capace di dipingere in qualsiasi maniera scegliesse. Ma non copiò mai… Egli si valse di tutte le tradizioni piuttosto che essere legato a una e il suo stile è sempre inconfondibile”. (Rudolf Wittkower ,1958)
Se Ribera, approdato a Napoli nel 1616, non fu, in senso stretto, il maestro di Giordano; lo fu per contagio. Giordano non smise mai di ripensare a quel magistero di stile, rileggendolo in uno spartito cromaticamente più chiaro e mosso.
Negli ultimi decenni gli studi hanno tralasciato la produzione del Ribera maturo, specialmente quella dell’ultimo periodo, quando, per difficili contingenze biografiche, il pittore distribuì il lavoro ai migliori cavalli della sua scuderia. E tra questi non vi è dubbio che passasse anche il giovane Giordano.
L’irresistibile ascesa di Giordano sulla scena napoletana è testimoniata da una sequenza spettacolare di dipinti d’altare di particolare coinvolgimento, databile a partire dalla seconda metà degli anni ’50, in cui le citazioni dai maestri, da Lanfranco a Ribera, si fondono mirabilmente con i prelievi dall’Antico.
Alcune di queste opere sono visibili nella loro collocazione originaria; altre, per ragioni diverse, sono state da tempo musealizzate: ma la vera mostra di Giordano rimane Napoli con i suoi dipinti e i suoi affreschi.
Il confronto con Ribera caratterizza e condiziona tutta la storia di Giordano. Anche per questo chiedersi se fosse stato suo discepolo in senso proprio rimane una questione oziosa o piuttosto mal posta: di tutti i maestri putativi di Giordano (da Tiziano a Rubens da Lanfranco a Pietro da Cortona), Ribera è quello con cui non smise mai di confrontarsi.
Si tratta di un contatto, talvolta simbiotico, come nel caso del notturnale e quasi stregato San Sebastiano di Ajaccio, o intelligentemente emulativo, come nei “filosofi” dei musei francesi.
Il contagio, che dilagò a Napoli nel 1656, costituisce uno degli ultimi flagelli dell’Europa premoderna. In tempi di peste si moriva, si scampava o si pregava rifugiandosi nell’aria salubre di San Martino. Anche a Napoli, per i pochi artisti sopravvissuti, il trionfo della morte fu occasione di spunti e pretesti. Preti, Spadaro, lo stesso Giordano realizzarono per l’occasione degli ex voto. I due bozzetti di Preti per le porte di Napoli sono tra le stazioni consacrate dell’antologia napoletana.
Ma è Spadaro l’inarrivabile cronista della peste: nello slargo del Mercato, il centro città diventa protagonista con le mura impregnate degli umori e dei miasmi che salgono dai cadaveri degli appestati. Giordano non avrebbe dimenticato questo sorprendente strappo urbano.
“L’artista sommo non è tanto colui che infrange la regola quanto colui che varia la consuetudine, così come il buon giocatore non è il baro, ma l’inventore di soluzioni inconsuete nello sviluppo dell’azione ludica” (Padre Giovanni Pozzi).
Non a Napoli, ma a Firenze Giordano ha modo di qualificarsi come il massimo genio barocco dell’Europa di fine secolo. Gli affreschi del salone e della biblioteca di Palazzo Medici Riccardi (1682) costituiscono una lezione sul decorativismo nel tardo barocco a quindici anni dalla morte di Pietro da Cortona.
Il dialogo a distanza con il Cortona connota, senza mai più cadere di tensione, l’iter creativo di Giordano fino dagli esordi. Tra le pale di Santa Brigida (1655) e delle Anime del Purgatorio ad Arco (1661) si misurano non solo gli incrementi stilistici e culturali di un maestro poco più che ventenne; ma si evidenzia, al più alto grado di qualità, lo scatto barocco della pittura a Napoli e in area mediterranea nella seconda metà del secolo.
La forza e il raggio di diffusione del genio di Giordano non si contengono nella pittura: la selezione di vetri e opere di ceramica rende l’eredità di Giordano un episodio articolato e centrifugo.
Nel presentare quella che i tedeschi definiscono una Wunderkammer, una camera delle meraviglie e i francesi, in accezione non troppo diversa, un cabinet d’amateur, si sollecita una riflessione su quello che poteva annoverarsi nelle stanze di un palazzo patrizio.
Circondarsi di cose belle e anticaglie non è solo la certificazione di un raggiunto status economico e culturale, ma fornisce l’illusione che gli oggetti possano prolungare i piaceri terreni.
Nel corso degli anni ’60 del Seicento la fama di Luca Giordano cresce nei domini spagnoli e nella Spagna stessa. Si trasferisce alla corte di Madrid nell’ultimo decennio del secolo e vi rimane per una decade, lavorando con un’alacrità senza confronti e producendo una sterminata quantità di tele, anche di grandi dimensioni, e soprattutto di affreschi. Vi sono stati alcuni storici e scrittori d’arte del secolo scorso – a cominciare da Roberto Longhi – che hanno considerato il momento spagnolo di Giordano come quello più felice e creativamente compiuto.
Gli ultimi lavori napoletani di Giordano rientrato dalla Spagna – e dei suoi satelliti (primo fra tutti un notevole comprimario come Nicola Malinconico) – vedono la scena locale ripiegata in senso neoconservatore e orientata in una direzione che sarebbe poco definire accademica. Il primo ‘700 ha imbrigliato, fino a rinnegare, l’ansia sperimentale e senza sconti di Giordano.
Il Settecento napoletano non è il secolo di Giordano, ma di Solimena e di Francesco de Mura, che impongono a Giordano la camicia pulita. Saranno i francesi di secondo ‘700 a tentare di rimodulare la scrittura sciolta, antinaturalistica, delle tele dei Girolamini o del soffitto della cappella del Tesoro nella chiesa di San Martino, dipinta in un fiato e in un solo giro di pennello.