Le prime settimane di autunno segnavano l’inizio delle operazioni di vendemmia a Pompei
POMPEI. I dolia (come quelli nella foto di copertina) erano i grandi contenitori, spesso interrati, che nell’antica Pompei venivano utilizzati per la raccolta del mosto ottenuto dopo la pigiatura delle uve e dopo una prima decantazione dello stesso in un vano sotterraneo.
Essi simboleggiano bene le prime settimane d’autunno, che nell’antica Pompei erano dedicate alla vendemmia: l’equinozio di autunno (23 settembre), infatti, segnava l’inizio delle operazioni per la vendemmia sia in città che in campagna e i dolia e le anfore, che dovevano accogliere il prodotto della pigiatura, erano state già preparate rendendole impermeabili all’interno, spalmandole con resine di pino.
La vendemmia, dunque, era un appuntamento molto importante per i pompeiani di allora, soprattutto se si considera che il vino era uno dei prodotti fondamentali della città antica, sia sotto il profilo alimentare che commerciale.
Non a caso la coltivazione della vite era ampiamente diffusa in città come in campagna e insieme alla produzione del garum costituiva una delle principali attività dell’area vesuviana. Il vino, infatti, aveva un ruolo fondamentale nella vita quotidiana delle popolazioni vesuviane.
Le indagini archeologiche, gli studi botanici e il rilevamento dei calchi delle radici delle viti e dei relativi paletti di sostegno (che la grande eruzione del 79 d.C. ha “immortalato” per sempre) hanno confermato la presenza di tale coltura anche all’interno della cinta muraria della città, nei giardini e negli orti che ornavano le case, ma soprattutto nei quartieri periferici nei pressi dell’Anfiteatro.
A Pompei la vite era coltivata sia in filari, sia a pergola semplice oppure “maritata” ad altri alberi. In quest’ultimo caso le viti venivano fatte arrampicare sui tronchi di altri alberi più robusti, come pioppi, aceri, olmi o alberi da frutto.
I primi di ottobre, come detto, cadevano i giorni della vendemmia e, dopo i riti propiziatori, i vendemmiatori si recavano nella vigna e raccoglievano ordinatamente i grappoli. Questi venivano deposti in ceste di giunco, che poi venivano trasportate al pigiatoio: quest’ultimo era un tutt’uno con il bacino del torchio, dove l’uva veniva pigiata a piedi nudi dai calcatores.
Le vinacce, dopo la pigiatura, venivano ulteriormente pressate con un torchio. Dopo la prima torchiatura, che forniva il vino migliore, segiuivano ulteriori torchiature con cui si ottenevano vini di seconda e terza qualità.
Il mosto ricavato colava in un contenitore di raccolta infossato nel pavimento o in una camera sotterranea per una prima decantazione e veniva poi travasato nei grandi contenitori (dolia) della cella vinaria.