Vittorio Spinazzola, un archeologo da riscoprire e ricordare per la sua attività a Pompei
POMPEI. È ormai risaputo che i primi a comprendere l’importanza dello scavo archeologico dell’antica Pompei furono i Borboni, che dopo la scoperta di Domenico Fontana fecero conoscere all’umanità la città sepolta, davvero unica nel suo genere (oggi Pompei è Patrimonio dell’Unesco).
L’architetto svizzero, infatti, che tra il 1594 e il 1600 diresse lo scavo del canale Conte di Sarno (costruito per portare l’acqua del fiume Sarno alle fabbriche di Torre Annunziata) incontrò delle strutture di epoca romana e fu il primo a venire in contatto con le rovine di Pompei.
Dopo l’Unità d’Italia gli scavi del sito archeologico proseguirono e vi furono diversi archeologi che si distinsero alla direzione.
Il primo fu Giuseppe Fiorelli: ispettore ordinario negli Scavi di Pompei dal 1847 e in seguito direttore degli Scavi dal 1860 al 1875, ebbe tra i numerosi meriti, quello dell’invenzione del metodo per eseguire i calchi delle vittime dell’eruzione. Ma dopo Fiorelli vi fu un altro archeologo che ha legato il suo nome alla storia degli Scavi di Pompei.
Si tratta di Vittorio Spinazzola (nella prima foto, fonte “Illustration” del 26 aprile 1924), originario di Matera, che a Pompei, durante la sua direzione dal 1911 al 1923, segnò una tappa importante nelle metodologie di indagine, rivolgendo attenzione particolare alle facciate delle case, alle finestre, alle scale, ai piani superiori e ai tetti degli edifici (ricostruiti fedelmente e visibili ancora oggi).
Indagò strato a strato, salvando dagli scarichi un’infinità di dettagli e suppellettili, indispensabili per la ricostruzione in situ e immediata delle strutture, lasciando sul posto tutto quello che si poteva.
Secondo il maestro Spinazzola, non esisteva una sola metodologia di scavo e, tanto meno, un metodo uguale per tutti i siti archeologici: il metodo dello scavo era dettato dalla natura, dalle condizioni e dallo scopo della ricerca. Ad ogni sito bisognava applicare il metodo di indagine appropriato.
La sua genialità gli permise di liberare 600 metri di Via dell’Abbondanza che era la strada principale della città, indicando la via maestra per collegare il Foro all’Anfiteatro. In questa strada vi erano la maggior parte di testimonianze di vita quotidiana, portò alla luce piccole edicole votive, importanti panifici e le aziende artigiane.
Qui ritrovò la Casa di Loreio Tiburtino, la Casa dell’Efebo, la Casa di Trebio Valente e, soprattutto, la Fullonica (ritratta nella seconda foto del 1922, nella quale si vede il gran lavoro fatto dalle maestranze dello Spinazzola e in lontananza la Valle di Pompei, dove svetta il campanile in costruzione, che sarà ultimato nel 1925).
Nel 1923 Spinazzola, nonostante avesse fatto un ottimo lavoro di scavo e di scoperta, fu rimosso dall’incarico di direttore degli Scavi: fu un vero mistero che ancora oggi aleggia tra gli addetti ai lavori.
Negli ambienti intellettuali dell’epoca si disse che il governo fascista lo dimise a causa della sua netta adesione alle idee liberali degli stretti legami che lo univano con uomini politici chiaramente estranei al fascismo, in particolare con Francesco Saverio Nitti e Gabriele D’Annunzio (infatti il dramma di D’Annunzio “La città morta” del 1896 nacque da un’idea dello stesso Spinazzola).
Allora perché sostituire lo Spinazzola che aveva operato così, bene? Tanto è vero che anche Margherita Grassini Sarfatti, consigliera culturale e amante di Mussolini, ne celebrò le gesta e la genialità.
Soprattutto, si fece promotrice di una visita del Duce a Napoli e a Pompei nell’agosto del 1923, che nelle intenzioni avrebbe dovuto suonare da alto riconoscimento dei meriti dell’archeologo e dissipare alcune nubi che da qualche tempo e con una certa insistenza andavano addensandosi sul suo capo.
Tra l’altro su diverse riviste turistiche dell’epoca, anche di spessore internazionale, lo stesso regime fascista ne celebrava le sue tecniche di scavo assolutamente innovative e efficaci.
Alla fine, però, quella visita a Pompei non ebbe mai luogo: Mussolini si recò nella città vesuviana nel 1927 e ancora nel 1931, quando gli scavi erano sotto la guida di Amedeo Maiuri, succeduto a Spinazzola.
Il mistero poi si infittisce e arriva fino ai giorni nostri, perché né la città nuova né gli scavi archeologici hanno mai commemorato, negli anni a seguire, l’archeologo intitolandogli una scuola, un busto o una lapide, cosa invece avvenuta per i suoi successori (vedi Amedeo Maiuri e Matteo della Corte).
La vicenda segnò profondamente Spinazzola, che lavorò fino alla sua morte (avvenuta nel 1943) sui ritrovamenti degli anni 1910-1923 per pubblicarli. Non riuscì a vedere la pubblicazione, perché poco prima di andare in stampa, durante la Seconda Guerra Mondiale, le bozze andarono distrutte durante un bombardamento e il manoscritto fu considerato perso.
Ma ne sopravvisse una copia, che venne pubblicata postuma nel 1953 per decisione del Governo Italiano, in due volumi (dalla mia collezione privata nella terza foto) nella sua interezza con il titolo “Pompei alla luce degli Scavi nuovi di Via dell’Abbondanza (anni 1910-1923)”. Il lavoro venne curato da Salvatore Aurigemma, che era suo genero, e i volumi in questione risultano essere oggi di difficile reperibilità.
La domanda sorge spontanea. Vista l’elevata caratura del maestro Spinazzola, non sarebbe il caso che le autorità locali si interessassero alla dedica di qualche riconoscimento, riparando al torto fattogli durante tutti questi anni?