Il Mann è il museo italiano più attivo su Facebook e lancia “Sette statue per sette giorni”
NAPOLI. Nella recente rilevazione realizzata dal Politecnico di Milano per la Direzione Generale Musei del Mibact, il Mann è risultato il museo italiano più attivo su Facebook, in termini di numero di post pubblicati (122) nel settembre 2020.
Così, nella compagine più complessiva e variegata dei dati inerenti alla “propensione social” degli istituti culturali, con particolare riferimento alla specifica attività su Facebook, il Mann conferma la cura nell’applicazione delle opportunità comunicative offerte dalla piattaforma: in questi tempi difficili, una risorsa indispensabile per mantenere vivo il dialogo con il pubblico.
E proseguendo proprio in questo solco, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, in questi giorni di chiusura a causa della pandemia da coronavirus, lancia l’iniziativa social “Sette statue per sette giorni”.
Con sette post su Facebook ed Instagram, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli anticiperà un suggestivo tour virtuale della Sezione Campania Romana, che sarà nuovamente fruibile al pubblico da giugno 2021.
La campagna fotografica realizzata da Luigi Spina rientra infatti appieno nella prassi di valorizzazione del patrimonio museale, da divulgare e condividere in rete.
Il viaggio online è iniziato su Facebook, simbolicamente il 14 novembre alle ore 20: per quella data e quello specifico orario era infatti prevista la Notte dei Musei, con aperture straordinarie che, a causa dell’emergenza Covid, sono oggi trasformate in appuntamenti virtuali.
Da sabato, così, i fan e follower possono trovare, nella rete, uno spazio per ammirare sculture quasi sconosciute: i capolavori scelti per questa preziosa e raffinata campagna digitale non saranno il Doriforo di Policileto, il Cavallo Mazzocchi o l’Afrodite di Capua, opere che pure figureranno nel riallestimento della Campania Romana, ma alcuni marmi che, provenienti per lo più dai depositi del Mann, arricchiranno le sale del piano terra nell’ala occidentale del Museo.
A guidare gli internauti in un itinerario di scoperta, da vivere per ora con like, commenti e condivisioni, saranno sette splendide immagini di Luigi Spina: il fotografo ha ripreso a studiare la staturia del Mann, con un impegno di ricerca pari a quello profuso per la Collezione Farnese.
Se l’illuminazione e l’inquadratura saranno i primi strumenti per “interpretare” l’opera, facendone emergere il valore simbolico, culturale e sociale, la vera scommessa della campagna di Spina sarà conciliare le esigenze scientifiche della documentazione con il forte senso estetico espresso da marmi e bronzi.
Un approccio allo stesso tempo divulgativo e rigoroso, che non soltanto “premierà” gli appassionati di archeologia, ma anche i cultori di una ricerca evocativa ed emozionale sull’immagine.
C’è tanta Pompei, tra l’altro, nelle foto pubblicate dal Mann in questa inizativa. Primo post, dunque, con la statua maschile del cosiddetto Germanico: proviene dal Macellum di Pompei, risale ai primi decenni del I secolo d.C. ed è uno dei tesori dischiusi dai depositi.
Quasi sconosciuta anche la testa di Apollo tipo Omphalos, che sarà postata la domenica: in ossequio alla dimensione “multicentrica” che connoterà la Sezione della Campania Romana, l’opera proviene da Cuma ed è copia romana (II secolo d.C.) di un originale di età severa.
Per iniziare la settimana online, enigma e magnetismo nell’immagine della protome di Giunone, anch’essa svelata dai depositi: la testa, che per le sue dimensioni particolari (sessanta centimetri circa) probabilmente è parte di una statua di culto del Tempio di Giove a Pompei ed è databile al I secolo d.C.
Ancora dai depositi, l’elegante figura femminile panneggiata (dal Foro di Ercolano, I secolo d.C.), così come non esposta da tempo la scultura di Olconio Rufo (I secolo d.C.), che proviene dal quadrivio di via Stabiana a Pompei.
Completeranno l’anteprima social la statua femminile della Concordia Augusta (da Pompei, edificio di Eumachia, I secolo d.C.) ed il Busto di Plotina (dal settore cd. Mercurio del Palatium di Baia, 117-138 d.C., anch’esso custodito da molti anni nei depositi).
«Il lavoro sulla Campania Romana è da considerarsi una delle più significative ricerche fotografiche al Museo di Napoli degli ultimi dieci anni» commenta Luigi Spina, che aggiunge: «Tutto questo si esplica in un’azione quotidiana di riprese che richiedono tempi precisi e giuste riflessioni per individuare l’unicità di ogni opera».