Alice, il Cappellaio matto e il tempo come ricerca continua: intervista al regista Nello Petrucci
POMPEI. “L’ultimo whisky con il Cappellaio Matto” è il titolo del cortometraggio scritto e diretto da Nello Petrucci, attualmente in concorso al 74esimo Festival del Cinema di Salerno ed in lizza ai David di Donatello 2021.
Già vincitore a Los Angeles dell’Indie film festival e del Best Istanbul Film festival in Turchia, il corto, trasmesso sulla piattaforma digitale che ospita quest’anno la kermesse salernitana, è prodotto dalla Satyr M.B. Production e co-prodotto da Contemply.
Una continua ricerca del tempo perduto, cifra stilistica di Petrucci, e leitmotiv della sua Alice, ormai donna, catapultata nuovamente in quel mondo fantastico, carico di simbologia, dove ritrova il “cappellaio matto”
Com’è è nato “L’ultimo whisky con il Cappellaio Matto”?
«Ciò che mi ha spinto alla realizzazione di questo progetto, parte proprio da “Alice nel paese delle meraviglie”, un romanzo molto articolato e davvero “folle”. L’idea è stata quella di mettere insieme due personaggi molto interessanti. Da un lato il Cappellaio, una figura che spesso può essere il nostro sub-conscio, e Alice, che nonostante la sua vita abbia una chiara linearità, vive nettamente in superficie e tutto questo non le appartiene: è un contrasto enorme. Ma ha tanti altri possibili diversi punti di osservazione e ognuno poi in fondo ci trova il suo: questo lavoro lascia tante porte aperte».
Cosa c’è del regista Petrucci in questo cortometraggio?
«Questo film, come si può vedere, tocca delle corde molto intime e personali, come “la dimensione del tempo”. Un tempo che spesso è al di fuori dell’orologio, un tempo che resta lì come una sorta di limbo e lì i personaggi sono sospesi, un po’ come le mongolfiere che sono disegnate nella casa del Cappellaio».
Si potrebbe definire un lavoro dedicato “al tempo” e alla sua ineluttabilità?
«Sì, il tempo per me è un elemento molto importante, è una continua ricerca, e questo lavoro traccia una linea fondamentale per riflettere su un tema che continua a sorprendermi».
Il film è anche ricco di originali simbolismi e sottili citazioni, che i più attenti riescono a cogliere…
«Parlando di struttura narrativa, questo lavoro è ricco di elementi simbolici e citazioni con riferimenti appropriati. Vediamo, ad esempio, il viandante che dà indicazioni ad Alice: è un puro riferimento a “Il viandante e la sua ombra” di Nietzsche, personaggio che ha una certa importanza, direi fondamentale. La sua presenza, addirittura, quando è di spalle, in lontananza, è un puro riferimento al pittore dell’Ottocento Federich David Casper e all’opera “Il viandante sul mare di nebbia”, un uomo di spalle nel suo mondo nuvoloso: lì vediamo tutto il romanticismo che, in un certo senso, appartiene a questo lavoro. Poi si vedono maschere sparse un po’ ovunque, orologi senza tempo, accompagnati da una fotografia virtuosa e dai colori saturi, per avvolgere tutto il lavoro in un’atmosfera surreale».
Dietro questo film c’è un grande lavoro di preparazione: nessun dettaglio è stato lasciato al caso.
«Il film è stato girato in quattro giorni, con sei mesi di lavorazione. Abbiamo ricostruito gli interni negli studi della Satyr Production (la casa del cappellaio è stata ricostruita totalmente, ci sono voluti sei mesi per realizzarla, con decori, affreschi). Poi gli esterni per la maggior parte sono stati girati ad Apice vecchio, paesino abbandonato nel beneventano, dimenticato dal tempo».
Hai scelto tu personalmente anche il cast, com’è stato lavorare con loro?
«Ho lavorato con una troupe fantastica, un set familiare, c’era tanto amore e il contributo di tutti, davvero di tutti, è stato realmente prezioso per rendere questo progetto magico. Abbiamo girato con budget davvero basso e a volte bisogna credere nei miracoli: per questo non smetterò mai di ringraziarli».