La tecnica di Fiorelli per realizzare i calchi di Pompei: così sono stati eseguiti quelli di Civita
POMPEI. Si deve a Giuseppe Fiorelli l’invenzione dei calchi di gesso delle vittime dell’eruzione di Pompei. Ispettore ordinario negli scavi dal 1847 e in seguito direttore del sito dal 1870 al 1875, di lui scriveva Gaetano De Petra: «La più fortunata delle sue invenzioni fu l’immagine autentica che diede della catastrofe vesuviana, colando nel masso di cenere che copriva gli scheletri il gesso liquido, per cui questi rivivono nelle forme e nelle contrazioni della loro agonia».
Fu tra il 2 e il 5 febbraio del 1863 che Fiorelli sperimentò questa tecnica, durante lo scavo del vicolo tra le insulae VII 9 e VII 14, il cosiddetto “Vicolo degli Scheletri”, quando si rinvennero quattro individui e si eseguirono i primi calchi.
In cosa consiste la tecnica? Il metodo prevede la realizzazione di una colata di gesso liquido nelle cavità lasciate dai corpi che si sono decomposti all’interno del materiale vulcanico.
Una volta che il gesso si è solidificato, il terreno circostante viene rimosso per portare alla luce la forma ottenuta. Così come lo stesso Fiorelli scriveva il 13 febbraio 1863: “L’archeologia non sarà più studiata nei marmi o nei bronzi, ma sopra i corpi stessi degli antichi, rapiti alla morte, dopo diciotto secoli di oblio”.
Dopo le esperienze ottocentesche, nel Novecento si proseguì con l’utilizzo della tecnica del Fiorelli per la realizzazione dei calchi delle vittime ma, generalmente, i calchi furono poi lasciati sul luogo del rinvenimento o in ambienti coperti dello stesso edificio.
Nel 1984 si sperimentò una diversa tecnica. Fu realizzato, infatti, un calco in resina eseguito su una vittima rinvenuta in un ambiente della Villa di Lucius Crassius Tertius di Oplontis.
Questo sistema integra il calco in gesso di Fiorelli con quello della fusione a cera della statuaria in bronzo, permettendo così di realizzare un calco trasparente, che rende visibile lo scheletro e l’eventuale individuazione di oggetti o monili che le vittime portavano con sé durante la fuga.
I calchi realizzati nei recenti ritrovamenti di Civita Giuliana sono stati realizzati alla maniera di Fiorelli. All’interno dell’ambiente di rinvenimento è stata individuata dapprima la presenza di vuoti nello strato indurito di cinerite.
Al di sotto sono stati quindi intercettati gli scheletri analizzati dall’antropologa del Parco Archeologico di Pompei e in seguito si è poi proceduto alla colatura di gesso.
Le moderne tecnologie hanno inoltre permesso tramite analisi endoscopica una migliore osservazione dei vuoti e, laddove possibile, anche una scansione laser dell’interno del vuoto lasciato dal corpo.
Chi erano le vittime? La prima vittima, con capo reclinato e denti ed ossa del cranio visibili, secondo le prime ipotesi, risulta essere di sesso maschile e collocabile in una fascia di età compresa tra i 18 e i 25 anni e alto all’incirca 1,56 metri.
Dal calco si è potuto individuare anche il tipo di abbigliamento indossato: una corta tunica, ben visibile nel panneggio sul calco, la cui consistenza farebbe ipotizzare a fibre di lana.
La seconda vittima, invece, è stata rinvenuta in posizione diversa rispetto al giovane e rispetto ad altre vittime dell’eruzione di Pompei. Il volto è riverso nella cinerite, ad un livello più basso rispetto al corpo, e il gesso ha ricalcato perfettamente i lineamenti del mento, delle labbra e del naso, anche qui con particolari davvero impressionanti.
Anche in questo caso, i resti suggeriscono si tratti di un individuo di sesso maschile di età compresa tra i 30 e i 40 anni e con un’altezza di 1,62 metri.
L’abbigliamento, visibile solo attraverso l’impronta che il gesso ci ha restituito, si presenta più articolato con l’individuazione di una tunica e di un mantello.
Sotto il collo della vittima e in prossimità dello sterno, infatti, pieghe pastose lasciano intendere la presenza di un mantello di lana fermato sulla spalla sinistra.
In corrispondenza della parte superiore del braccio sinistro, inoltre, vi è anche l’impronta di un tessuto diverso, una tunica probabilmente, che sembrerebbe essere lunga fino alla zona pelvica.
Ulteriori lavori di scavo hanno permesso l’individuazione di altri vuoti che, dopo la colatura di gesso, hanno però mostrato essere capi di abbigliamento, localizzati a poca distanza da entrambe le vittime.
In particolare, un calco di gesso vicino alla vittima più giovane farebbe ipotizzare la presenza di un mantello di lana portato nella fuga per coprirsi dall’incessante pioggia piroclastica e già presente nell’abbigliamento di molte vittime.