Pompei, lo scavo di Civita Giuliana: simbolo della guerra dello Stato ai trafficanti di oggetti antichi
POMPEI. Lo scavo in corso nella grande villa di Civita Giuliana ha assunto una importanza che va ben oltre il dato archeologico. Benché i reperti rivenuti negli ultimi anni si siano dimostrati fondamentali per la comprensione della storia e delle funzioni della dimora, gli interventi di scavo sono diventati anche il simbolo della guerra dichiarata dallo Stato ai trafficanti di oggetti antichi.
Le indagini archeologiche e giudiziarie, intraprese congiuntamente dal Parco archeologico di Pompei e dalla Procura della Repubblica di Torre Annunziata, hanno consentito di mettere la parola “fine” al saccheggio della villa, che – andato avanti per anni – ha rischiato di compromettere per sempre le strutture antiche e i tesori che vi sono custoditi.
«Se l’intera operazione – spiega Massimo Osanna, direttore uscente del Parco – non fosse stata avviata grazie alla sinergia con la Procura di Torre Annunziata, con la quale è stato sottoscritto un protocollo di intesa per il contrasto al fenomeno criminale di saccheggio dei siti archeologici e di traffico dei reperti e opere d’arte, avremmo perso documenti straordinari per la conoscenza del mondo antico».
«La collaborazione tra la Procura della Repubblica di Torre Annunziata e il Parco Archeologico di Pompei si è rivelata uno strumento formidabile, non solo per riportare alla luce reperti e testimonianze di eccezionale valore storico ed artistico, ma anche per interrompere l’azione criminale di soggetti che, per anni, si sono resi protagonisti di un sistematico saccheggio dell’inestimabile patrimonio archeologico custodito nella vasta area, ancora in gran parte sepolta, della villa di Civita Giuliana, del quale sono una testimonianza i recenti eccezionali ritrovamenti» conferma il procuratore capo di Torre Annunziata, Nunzio Fragliasso.
La presenza dell’antica villa a Civita Giuliana, la zona collinare posta 700 metri a nord dell’area archeologica e ricadente nel perimetro della città moderna, è nota da tempo.
La villa, risalente al I secolo a.C. e attualmente scavata negli ambienti di servizio, fu individuata all’inizio del secolo scorso. Tra il 1907 e il 1908 furono condotti scavi ad opera del marchese Giovanni Imperiali, sulla base di una concessione di scavo rilasciata dall’allora Ministero della Pubblica Istruzione al privato, secondo la normativa in vigore all’epoca, i cui resoconti sono stati pubblicati nel 1994 con una monografia della Soprintendenza.
Negli anni successivi altri rinvenimenti casuali hanno rilevato ulteriori resti di strutture. Nel 1955, l’allora Soprintendenza Archeologica, proprio a ridosso di uno dei saggi praticati durante l’attuale indagine, ha portato alla luce dei setti murari.
La residenza rientra tra le ville rustiche extra moenia che facevano parte del suburbio di Pompei, a nord di Porta Nola. In parte villa d’otium, in parte azienda agricola per la produzione di olio e vino, almeno dal 2009 il complesso è stato pesantemente interessato da scavi clandestini.
I cunicoli sotterranei, successivamente individuati da Carabinieri e Vigili del Fuoco, avevano attraversato le pareti perimetrali agli ambienti recando ingenti danni: hanno distrutto gli intonaci, danneggiato parte dei muri, trafugato e rovinato oggetti.
L’esigenza d’interrompere l’attività criminale che privava di tesori di grande valore il patrimonio archeologico vesuviano ha fatto scattare, nel 2017, l’iniziativa di avviare una nuova campagna di scavo che, sul piano della legalità, si sostituisse a quella clandestina.
In questo contesto si colloca il protocollo sottoscritto nel 2019 da Procura e Parco archeologico, che rappresenta a pieno titolo un “accordo pilota” nel campo della sinergia tra istituzioni per la salvaguardia del patrimonio culturale nazionale.
Racconta Fragliasso: «Le attività criminali di cui aveva notizia la Procura e che dovevano essere pienamente accertate – vale a dire la realizzazione di una ramificata rete di tunnel ad oltre 5 metri di profondità, con saccheggio e distruzione parziale degli ambienti clandestinamente esplorati – richiedevano un’attività investigativa che non poteva essere realizzata se non attraverso una vera e propria campagna di scavi archeologici, che andava condotta, quindi, unitamente al Parco Archeologico di Pompei».
Le operazioni di scavo svolte a Civita Giuliana dal Parco con l’ausilio, ai fini investigativi, dei Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale e dei Carabinieri del Gruppo di Torre Annunziata, sotto il costante coordinamento del procuratore aggiunto Pierpaolo Filippelli, «hanno consentito di acquisire – spiega ancora Fragliasso – prove decisive ed inconfutabili della commissione di gravi e reiterate condotte illecite poste in essere dai “tombaroli”, volte al trafugamento di preziosi reperti archeologici».
Fragliasso ricorda poi che il carro da parata ritrovato nella villa e che in questi giorni il mondo intero ha potuto ammirare «è stato solo sfiorato dai cunicoli dei criminali ed è miracolosamente scampato all’azione di saccheggio». Sono parole che fanno correre un brivido lungo la schiena, ma danno il senso dello scempio cui è esposto il patrimonio archeologico.
I responsabili degli scavi clandestini sono però stati assicurati alla giustizia. «Proprio in questi giorni – sottolinea il procuratore capo – è in corso di svolgimento, davanti al Tribunale di Torre Annunziata, il processo penale a carico di due imputati, ritenuti gli artefici materiali di tale attività criminale, la cui abitazione tuttora insiste sul sito della antica villa romana depredata».
«Le indagini – aggiunge – hanno consentito di accertare che proprio dalla proprietà dei due imputati si diramava una rete di cunicoli di oltre 80 metri utilizzata per il sistematico saccheggio dell’area archeologica».
L’operazione congiunta, archeologica e giudiziaria, condotta da Procura e Parco, ha ricevuto anche il consenso del ministro della Cultura, Dario Franceschini. «Quella del carro da parata è una scoperta di grande valore scientifico. Un plauso e un ringraziamento al Parco Archeologico di Pompei, alla Procura di Torre Annunziata e ai Carabinieri del nucleo Tutela Patrimonio Culturale per la collaborazione che ha scongiurato che reperti così straordinari fossero trafugati e illecitamente immessi sul mercato».
Molto resta ancora da fare per tutelare il patrimonio archeologico. Soprattutto per evitare che i tesori custoditi dal territorio vesuviano finiscano nelle case di privati o, peggio ancora, all’estero.
«Anche nei prossimi anni – assicura però Fragliasso – l’impegno di questo Ufficio nella tutela del patrimonio artistico, archeologico e culturale del territorio sarà costante e prioritario. Particolare attenzione sarà riservata all’attività finalizzata al recupero di reperti archeologici esportati all’estero e alla loro restituzione al patrimonio nazionale».