Pompei, la chiesa della Madonna dell’Arco a Civita Giuliana e il “mistero” del tempietto scomparso

POMPEI. In questo articolo vi porterò alla scoperta di una delle chiese più antiche della Valle, ovvero la chiesa della Madonna dell’Arco nella contrada di Civita Giuliana, situata nel Comune di Pompei.

Ad accompagnarmi, come Virgilio fece con Dante nella Divina Commedia, vi è il signor Nunzio Visciano, residente e storico locale, che ringrazio vivamente e che mi ha chiarito diversi aspetti e curiosità di una struttura piena di fascino, che resta ancora oggi una realtà davvero stupenda del nostro territorio.

La chiesetta gentilizia della Madonna dell’Arco a Civita Giuliana (nella foto), di chiara matrice borbonica, fu eretta nel 1830 e inaugurata nel 1837 (come riportato dalla lapide marmorea dell’epoca, posta sopra il portale in facciata): essa sorge su una precedente cappella di cui incorpora le mura perimetrali nella parte iniziale fino al primo arco in navata.

Dal fondatore Nicola De Rinaldo di Boscoreale, si è trasmessa in eredità ai discendenti, fino a quando l’ultima erede, Livia Zurlo Sarto, la donò alla Prelatura di Pompei nel 1962 ad alcune condizioni.

La prima era che la Chiesa fosse sempre aperta al culto dei fedeli della contrada di Civita Giuliana. Chiese, inoltre, che vi si celebrassero in perpetuo almeno dodici messe l’anno. Infine, prescrisse che vi si apponesse una lapide che né ricordasse il fondatore e i suoi due nipoti. L’atto notarile venne stilato e sottoscritto il 30 aprile 1962 davanti al notaio Angelo Bianchi di Pompei.

Però questo meraviglioso edificio, pieno di fascino e storia, è avvolto da un grande mistero. Dal racconto degli abitanti del luogo e come testimonia la foto, al di sotto della cupola, impreziosita di stucchi e affreschi, in posizione centrale, vi era collocato un grazioso tempietto colonnato ottagonale, sotto cui vi era un bell’altare con un’edicola splendidamente ornata con sculture in stile pompeiano e con i volti di due satiri (evidenziato nel cerchio rosso), che incorniciavano la venerata immagine della Madonna dell’Arco.

A partire dal 1962 del tempietto, delle colonne e dei satiri non ve n’è più traccia. Per quale motivo? Forse era troppo “paganeggiante”? Il tempietto fu definito “ingombrante sovrastruttura” dalla “Voce del Pastore”, un periodico fondato dal Vescovo di allora, mons. Aurelio Signora (1957-1978) e la sua demolizione (che oggi non esiteremmo a definire “sciagurata”) fu attribuita a ragioni di spazio.

Fatto sta che fu distrutto un capolavoro d’arte, depauperando irrimediabilmente la bella chiesa della sua rara peculiarità originaria.

Proprio in occasione dell’ultimo recente restauro del 2015 (per opera dell’amministrazione comunale di allora, tramite un finanziamento dalla Regione Campania con una dote vicina ai 2,3 milioni di euro) le ricerche fatte da Pasquale Miano, architetto e docente dell’Università “Federico II” di Napoli, evidenziarono l’importanza della progettazione costruttiva della chiesa e quindi anche del tempietto.

Essa fu progettata per opera di due architetti collaboratori del ticinese Pietro Bianchi (allievo del grande Antonio Canova), impegnati nel grande cantiere della Basilica Reale di San Francesco di Paola a Napoli, di fronte alla Reggia, nell’attuale piazza del Plebiscito.

Nonostante furti, spoliazioni e vicissitudini di ogni genere verificatesi negli anni (tra cui il terremoto del 1980 e la “sparizione” delle due splendide campane di epoca borbonica avvenuto per opera d’ignoti alla fine degli anni ‘90), la cappella gentilizia conserva ancora una bellissima statua di San Francesco di Paola, Patrono del Regno delle Due Sicilie: la statua in cartapesta è di ottima fattura, ha gli arti in legno, gli occhi vitrei e risale agli anni ‘30 dell’Ottocento.

Inoltre si possono ammirare due altari, uno dedicato al Sacro Cuore di Gesù e l’altro dedicato a Sant’Antonio di Padova, mentre in uno dei quattro pennacchi della grande cupola centrale vi è raffigurato San Marco evangelista e gli angeli del Paradiso (1949).

La chiesetta negli anni divenne un po’ il simbolo della contrada e funse da elemento aggregatore per i pochi abitanti della Valle. Fu anche il soggetto preferito di diversi pittori quotati dell’epoca, tra cui il paesaggista danese Peter Marius Hansen (1868-1928) che, uscendo dagli Scavi da Porta Vesuvio, si innamorò del luogo e della chiesetta, immortalandoli in un dipinto del 1898.

La cappella di campagna, nel tempo, ha anche alimentato leggende e piccoli aneddoti, ovviamente frutto della fantasia popolare, molto fervida in quello che era un desolato borgo rurale.

Durante uno dei suoi lunghi periodi di inattività, infatti, vi fu qualcuno che giurò di avervi visto o’ munaciello (o “monaciello”) il celebre spiritello leggendario del folclore napoletano, di natura sia benefica che dispettosa, che nella credenza popolare si supponeva dimorasse tra le rovine di abbazie e monasteri abbandonati.

Altri associarono la causa di questa presunta “presenza” all’interno della chiesa di Civita Giuliana con la voce secondo cui il nobile fondatore Nicola De Rinaldo avesse avuto, da giovane, una presunta passione per lo spiritismo.

Fantasie popolari, appunto, che presto scomparvero lasciando il campo ad un affetto che negli anni gli abitanti del posto, ma anche di Pompei e dei paesi vicini, hanno sempre dimostrato a questa bellissima chiesetta.

A conclusione di  questo fantastico viaggio, infatti, c’è da dire che intorno alla cappella gentilizia fino agli anni ‘90 del secolo scorso intere generazioni di pompeiani si riunivano per festeggiare la il Lunedì in Albis, ovvero la Pasquetta.

Da’altra parte la collina di Civita Giuliana è uno dei posti più belli e ameni di Pompei e durante i giorni di festa era un susseguirsi di piccole bancarelle di castagne, torrone e di giocattoli. Le nonne dell’epoca usavano preparare ”’o serpe e noce”, un dolce caratteristico a forma di serpente, di cui solo loro ne conoscevano la ricetta; inoltre le serate venivano allietate dalle danze folcloristiche di tamburi e nacchere, che si tenevano nella adiacente antica aia.

Nel 2013 fu stipulato un contratto di comodato d’uso tra la Prelatura e il Comune di Pompei, della durata di 20 anni, con cui l’ente municipale si assunse l’onere della manutenzione e l’utilizzo della struttura con la speranza che quest’ultima potesse ritornare di nuovo quel fantastico luogo di devozione e di aggregazione culturale ancora presente oggi nella memoria dei pompeiani. Purtroppo ciò – almeno sinora – non è accaduto, ma la cappella della Madonna dell’Arco sulla collina di Civita Giuliana resta ancora oggi uno dei luoghi di maggior fascino della città moderna.

Luigi Ametrano

Luigi Ametrano

Imprenditore alberghiero con la passione per la scrittura e la storia recente di Pompei

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