Scienza e archeologia: i flussi piroclastici che distrussero Pompei durarono circa 15 minuti

POMPEI. Fu di circa quindici minuti la durata delle correnti piroclastiche che colpirono Pompei durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.: le loro ceneri vulcaniche, inalate dagli abitanti, furono fatali, provocandone l’asfissia.

Questo è quanto rivela lo studio The impact of pyroclastic density currents duration on humans: the case of the AD 79 eruption of Vesuvius, condotto dall’Università degli Studi di Bari – Dipartimento Scienze della Terra e Geoambientali, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e il British Geological Survey di Edimburgo, appena pubblicato “Scientific Reports”.

«Obiettivo del lavoro – ha affermato Roberto Isaia, ricercatore dell’Osservatorio Vesuviano dell’Ingv – è stato quello di sviluppare un modello per cercare di capire e di quantificare l’impatto dei flussi piroclastici sull’abitato di Pompei».

I flussi piroclastici, infatti, sono il fenomeno più devastante delle cosiddette eruzioni esplosive. Paragonabili alle valanghe, si generano dal collasso della colonna eruttiva. I densi flussi che ne derivano scorrono lungo le pendici del vulcano a velocità di centinaia di chilometri orari, ad alta temperatura e con un’alta concentrazione di particelle.

«Per la nostra ricerca – ha proseguito Isaia – abbiamo svolto studi sul terreno e in laboratorio dei depositi piroclastici presenti all’interno degli scavi archeologici di Pompei che hanno portato alla misurazione e alla definizione dei parametri fisico-meccanici delle rocce. Con i dati ottenuti abbiamo sviluppato un modello matematico che ci ha permesso di effettuare delle simulazioni numeriche».

«Da queste – ha spiegato ancora il ricercatore – abbiamo potuto ricavare i parametri fisici delle correnti piroclastiche e, quindi, stimarne gli effetti sul territorio, uomo compreso. Il risultato principale è che il perdurare del passaggio delle correnti piroclastiche è avvenuto in un lasso di tempo compreso tra i 10 e i 20 minuti».

«Il modello elaborato – ha aggiunto il ricercatore – può essere applicato anche ad altri vulcani attivi di tutto il mondo. L’esempio di Pompei, infatti, distante circa 10 chilometri dal Vesuvio, suggerisce come l’applicazione di questo modello potrebbe essere molto utile per comprendere la durata dei flussi piroclastici e, quindi, i danni derivanti da un’eruzione anche a distanze dove la temperatura e la pressione delle correnti piroclastiche non provoca più effetti dannosi sull’uomo e sull’ambiente. La metodologia applicata può quindi fornire nuovi elementi di conoscenza nell’ambito delle valutazioni di pericolosità di una struttura vulcanica attiva», ha concluso Isaia.

«È molto importante riuscire a ricostruire quanto avvenuto nelle passate eruzioni del Vesuvio partendo dal record geologico, per risalire ai caratteri delle correnti piroclastiche ed all’impatto sull’uomo» ha dichiarato, invece, il professor Pierfrancesco Dellino dell’Università di Bari, referente per il settore vulcanico della Commissione Grandi Rischi nazionale.

«L’approccio da noi seguito – prosegue il docente – aggiunge informazioni che sono racchiuse nei depositi piroclastici e che chiariscono nuovi aspetti sull’eruzione di Pompei e forniscono preziosi spunti per interpretare il comportamento del Vesuvio anche in chiave di protezione civile».

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Redazione Made in Pompei

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Made in Pompei è una rivista mensile di promozione territoriale e di informazione culturale fondata nel 2010.

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