Raffaella Carrà, ovvero: il valore dell’intrattenimento in mezzo secolo di tv italiana
Chiunque abbia frequentato una scuola di danza lo sa bene, il primo insegnamento è sempre lo stesso: sorridere, sorridere sempre, sorridere anche durante gli esercizi più difficili, sorridere e andare avanti.
In questo nessuna è stata una maestra come Raffella Carrà. Il suo volto, bellissimo invero, era una geografia di sorrisi, tutto in lei sorrideva: sorridevano i suoi grandi occhi vispi, sorridevano le labbra, sorridevano tutti i muscoli, ed era un sorriso rassicurante, con un che di familiare, eppure, contrariamente ad ogni regola impartita nelle scuole di danza, era un sorriso poco contenuto, sempre sul punto di travalicare l’eccesso ed esplodere in una sonora risata: la risata della Carrà. Sembra quasi di sentirla risuonare ora.
Chi ha vissuto l’infanzia negli anni ’80 sa di cosa parlo. Raffaella Carrà era (ed è) quasi un patrimonio collettivo nazionale (e non solo), credo che quasi tutte le bambine della mia generazione, ed anche di quella precedente, abbiano giocato ad essere lei, imparando e reinventando le sue coreografie, canticchiando che tanto ce ne saremmo trovate un altro più bello e senza problemi, mentre il resto delle donne della musica italiana si struggeva dietro uomini che non le voleva e che non le trattava con il rispetto dovuto.
Ma Raffaella Carrà non faceva la cantante (sebbene la sua discografia sia infinita e cosparsa di record) e nemmeno la ballerina (sebbene certi suoi passi siano passati alla storia), per lo meno, non in senso stretto.
Lei faceva televisione e lo faceva in un modo che le nuove generazioni ignorano del tutto, perché sapeva cantare, ballare, recitare, presentare, intrattenere, scrivere programmi, ideare format, e sapeva fare tutto bene, con un livello professionale estremamente alto, eppure con l’incredibile naturalezza di chi fa sembrare tutto facile perché padroneggia con maestria la materia che tratta.
Ecco, precisamente questo, purtroppo, è il tipo di televisione che le nuove generazioni non conoscono: una tv fatta di persone altamente qualificate e capace di muoversi in ogni ambito dello spettacolo, una tv che mostrava che fare spettacolo è una cosa seria e seria è la preparazione che richiede, una cosa inconcepibile se raffrontata alla televisione odierna in cui chiunque può arrivare al successo, senza meriti, senza doti, senza preparazione.
Di più: una tv che anche quando ha messo al centro le storie delle persone comuni, lo ha fatto con la consapevolezza di essere uno strumento, senza il voyerismo e la morbosità della televisione di oggi, mettendosi al servizio delle persone, mentre il paradigma che vediamo proposto oggi è quello opposto, che fa delle persone, delle loro storie, spesso del loro dolore, uno strumento in funzione della tv.
E non è solo questo: facendo semplicemente intrattenimento, quella televisione sapeva anche educare, ma senza essere moralizzante o retorica, come accade invece oggi.
A pensarci bene, non è che noi bambine degli anni ’80 sotto sotto siamo inconsapevolmente state educate dalla Carrà e se oggi siamo delle donne libere ed emancipate è anche perché abbiamo canticchiato scanzonate i suoi ritornelli?
Raffaella Carrà era già allora molto più emancipata di tante femministe dichiarate, ci rimandava l’immagine di una donna che sceglieva e non si faceva scegliere, una donna autodeterminata, lontana dall’immagine patriarcale della donna-Penolope che faceva parte dell’immaginario comune allora.
Mentre le femministe scendevano in piazza a fare la rivoluzione, lei (chissà quanto consapevolmente) la faceva nei salotti, a suoni di ombelichi scoperti e Tuca Tuca, in era democristiana, direttamente nelle case e nelle cucine di quelle donne che prima ancora di essere donne erano mogli, madri, figlie e sorelle.
La sua rivoluzione era etica, oltre che estetica, ma forse lei non lo sapeva e tantomeno lo sapevamo noi. Lei cantava cose tipo “Ballo, ballo, ballo, non m’innamoro” oppure “A far l’amore comincia tu”, e ballava coreografie in cui gli uomini erano di contorno, non di supporto, non c’erano partner pronti a sostenerla come accadeva nel balletto, lei ballava da sola e la figura maschile era lì a sottolinearne l’autonomia.
Anche il suo iconico cambré non aveva bisogno del supporto del partner, per intenderci: il cambré consiste nell’inarcare la schiena all’indietro ed il suo è passato alla storia perché lei lo portava all’estremo, con la testa che quasi toccava terra e senza nessun braccio maschile a cingerle la vita per sostenerla.
È così, con naturalezza, che quel tipo di televisione era educativa ed è così che la Carrà ha insegnato a generazioni di bambine la libertà in materia sentimentale, ma anche sessuale, molto tempo prima che ci pensasse la cultura “alta”, la stessa che storce il naso di fronte ai fenomeni di massa senza spingersi a comprenderli, offuscata com’è dalla sua stessa boria.
Era anni luce avanti la Carrà, ma queste sono cose di cui ci si rende conto solo quando si guardano in prospettiva, da una certa distanza.
Quella di quasi 50 anni di televisione è una distanza bella grossa, eppure siamo involuti: in tv vediamo corpi femminili mercificati, scoperti al soli fine di assecondare il desiderio maschile o di sedurre.
La Carrà, invece, il corpo femminile lo liberava, come in un gesto di rivendicazione, quasi senza malizia, con la leggerezza e l’importanza di un gioco, facendo di quel corpo, un corpo di ballerina, di intrattenitrice, di donna di spettacolo, un corpo politico come pochi altri.
Donna modernissima e professionista talentuosa, la Carrà è stata una figura trasversale come forse nessun’altra. Chi, come lei, è arrivata al campo dell’identità di genere, delle battaglie civili, della libertà sessuale? Chi è stata eletta madre putativa del movimento Lgbt? Chi ha saputo essere spregiudicata in maniera così rassicurante? Chi ha cantato così liberamente della sessualità?
In un tempo in cui c’è un uso smodato del termine “icona”, lei un’icona lo è stata davvero: iconica la sua immagine, iconico il suo caschetto biondo, iconiche le sue movenze, iconici i suoi ritornelli.
Grazie Raffaella per avere cantato, danzato, proposto col sorriso, un mondo più bello e libero. Grazie per averci ricordato, in un periodo storico in cui l’intrattenimento è stato declassato, svilito, ritenuto superfluo, che invece si tratta di qualcosa di serio, molto serio, e che sa lasciare un solco profondo. Foto di copertina: sara b., CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons.