Napoli, torna in scena la danza al Teatro Bellini
NAPOLI. Tutte le volte che ci passavo davanti, durante l’infinito periodo di chiusura, provavo un piccolo ed intimo dolore: il Teatro Bellini è il Teatro Bellini e chiunque in città gli deve qualcosa. È un pezzo di storia della città, ma è anche moderno e vanta una programmazione eterogenea che spazia tra tutti i generi.
Io al Bellini ci ho visto di tutto: dai Momix a Manuel Agnelli, da Toni Servillo a La Bella addormentata. La prima volta che ci ho messo piede ancora me la ricordo: ero bambina ed in scena c’era Kim Rossi Stuart. All’epoca, qualcosa attorno ai primi anni ’90, lui era reduce dal successo di Fantaghirò ed a noi tutte sembrava bellissimo e lì, quella sera, dalla poltrona della ultime file della platea del teatro Bellini ho scoperto che era una persona vera, perché questa è la fascinazione del teatro: qualcosa in bilico tra la realtà e l’immaginazione, qualcosa che è lì e accade solo in quel momento, poi non c’è più.
Io, e di certo non solo io, al teatro Bellini ci sono affezionata anche per questioni personali. Ci facevo i saggi di danza quando ero un’allieva, quelle giornate nei camerini del Bellini le custodisco tra i ricordi più belli: il rumore delle scarpette da punta sul linoleum, l’odore del sipario, le corse nel retropalco per cambiare quinta.
Insomma, io a vederlo chiuso il Teatro Bellini ci stavo male. E finalmente ora l’ho visto illuminato: le file al botteghino, l’attesa impaziente, il buio in sala e la sensazione che le cose stiano tornando al loro posto.
Ci sono stata per tre sere di seguito al Teatro Bellini, precisamente nel primo weekend del mese, perché ottobre è iniziato con tre serate di danza e questa è una cosa significativa. E significativo è stato vedere la partecipazione del pubblico, la vita sul marciapiede antistante il teatro, le persone richiamate dalle serate di danza. Sono entrata in platea rievocando ricordi, tanti, troppi, nel rosso di quel teatro, ed ho cercato di ritrovare quell’odore respirando attraverso la mascherina.
Venerdì 1 ottobre 2021 ho assistito a Puppenspieler, ultimo lavoro del giovane coreografo partenopeo Nyko Piscopo con la compagnia Cornelia. Quando si è aperto il sipario il pubblico era attento.
In scena, sulla falsariga di uno Schiaccianoci postmoderno, Klara con la “K”, non sognava che il burattino ricevuto in dono si trasformasse in Principe per assecondare i suoi primi turbamenti amorosi, Klara con la “K” si ritrovava circondata da tanti Schiaccianoci, confusa, smarrita, ed il pubblico l’accompagnava partecipando al suo percorso per diventare donna, un percorso che non prevedeva fiocchi di neve e regni incantati, ma esperienze forti e profonde, per arrivare alla definizione di un concetto fluido di identità di genere. Del resto, gli schiaccianoci sono dei giocattoli ed il gioco ha questo valore: fa sognare ed immaginare, ma fa anche crescere. Klara con la “K” alla fine è cresciuta e noi con lei.
Sabato 2 ottobre 2021 a risuonare è stata la Settima Sinfonia di Beethoven. Un pianoforte in scena e due gruppi di danzatori ad alternarsi per uno spettacolo intitolato appunto La settima: sul Movimento 1 e 2 della Sinfonia la coreografia di Claudio Malangone, sul Movimento 3 e 4, quella di Nicoletta Cabassi.
Qualcosa tra l’invisibile ed il visibile, tra la costruzione e la decostruzione, il lavoro portato sul palco dai due coreografi. Andare a teatro in fondo è questo: aprire finestre su altri mondi, danzare in fondo è questo: dare vita a movimenti invisibili.
Arriviamo all’ultima serata: domenica 3 ottobre 2021 la serata prevedeva tre diverse pièce: un assolo femminile per la coreografia di Mauro Astolfi intitolata Unknown Woman. Astolfi, nome noto nel panorama della danza contemporanea, ha portato in scena una danzatrice, Maria Cossu, che si muoveva concentrata e precisa, creando un’atmosfera sospesa, qualcosa di evocativo eppure a tratti quasi tangibile, qualcosa che sembrava quasi afferrabile, ma che immediatamente dopo sfuggiva. Cos’altro è danzare, del resto?
La performance successiva, Äffi, porta la firma di Marco Goecke, un pezzo in cui Mario La Terza, su una selezione di brani di Johnny Cash, si muoveva vivido e agitato: qualcosa di molto fisico, una danza di corpo, dionisiaca, in cui il movimento sembrava essere generato da qualcosa di interiore che scuoteva dando vita ad un solo potente e di forte impatto.
Il trittico si è concluso con un pas de troix coreografato da Edmondo Tucci ed interpretato da Luisa Ieluzzi, Tommaso Palladino e Raffaele Iorio su musica di Craig Armstrong. D’amore e di altro il titolo, e trattandosi di un passo a tre se ne comprende il motivo.
Quella proposta da Tucci è stata una danza elegante e raffinata di quelle che sembrano non andare più di moda, fatta di linee, lift e momenti più interpretativi, dal gusto neoclassico e di buona qualità. Una danza che non dovrebbe ritenersi superata mai, perché del bello dovremmo aver bisogno sempre.
Andiamoci tutti al Teatro Bellini, a ritrovare ricordi ed a costruirne di nuovi, a ricordarci quanto è bello entrare in un posto dal quale uscire diversi ed un po’ più ricchi. La programmazione di danza a cura di Manuela Barbato ed Emma Cianchi, riprende il 15 ottobre 2021 ed è molto eterogenea. La danza va vista così, dal vivo, perché quella è la condizione in cui vive, altrimenti se ne perde l’essenza. Facciamola tornare a vivere, la danza. Ce n’è bisogno.