«Danni gravi e irreparabili alla Villa di Civita Giuliana»: la condanna per i tombaroli di Pompei
POMPEI. Scavi, condannati gli ultimi tombaroli di via Civita Giuliana. Ecco le motivazioni della sentenza. «Emerge al di là di ogni ragionevole dubbio la perpetrazione di scavi clandestini nel sito indicato in via Civita Giuliana. Gli scavi hanno gravemente e irreparabilmente danneggiato gli ambienti dell’antica Villa Romana insistente in buona parte sotto l’abitazione degli imputati».
Questo uno stralcio delle motivazioni per le quali il giudice del Tribunale di Torre Annunziata, Silvia Paladino, il 20 settembre 2021 condannò in primo grado gli ultimi tombaroli di Pompei, padre e figlio di Torre Annunziata.
Grossisti nel commercio della frutta, proprietari di un appartamento al primo piano oltre a un terreno in via Civita Giuliana, a pochi passi dal Parco Archeologico.
Sotto questo terreno – secondo le indagini condotte dall’ex pm anticamorra Pierpaolo Filippelli – a partire dal 2014 e fino ad agosto del 2017 sarebbero stati scavati cinque tunnel clandestini per saccheggiare i reperti d’epoca romana rinvenuti dentro gli ambienti rustici e nobiliari della villa suburbana seppellita dall’eruzione del 79 d.C.
Una domus resa nota, nel 2018, solo grazie al ritrovamento dei resti di tre cavalli. Il padre, in primo grado, ha incassato una condanna a tre anni e mezzo. Suo figlio è stato invece condannato a tre anni. Danneggiamento, scavi clandestini, impossessamento di beni archeologici e violazione di sigilli le accuse mosse a vario titolo dal pm Filippelli contro i due presunti tombaroli, i cui danni sono stati stimati in quasi 2 milioni di euro.
In attesa dell’avvio del processo di appello, le motivazioni del giudice di primo grado sembrerebbero inchiodare i due presunti tombaroli: «Gli scavi sono stati realizzati prevalentemente nella loro proprietà. Sono stati individuati ben tre varchi di accesso ai cunicoli sotterranei: oltre all’ingresso dalla proprietà contigua, ne è stato rinvenuto un altro dalla cantina».
«In alcuni casi – conclude il giudice in motivazione – il terreno derivante dagli scavi nei tunnel è stato trovato all’interno di cassette per la frutta. Le indagini hanno dimostrato il collegamento e i contatti, anche all’epoca dei fatti, con noti ricettatori di beni archeologici».