Una sera nell’ultimo girone dei Litfiba
NAPOLI. L’ultimo girone tour 1980-2022: si intitola così il tour d’addio dei Litfiba, quello con il quale hanno deciso di salutare il loro pubblico con una serie di concerti su e giù per la penisola che sta registrando sold out praticamente ovunque.
Dal 1980 ad oggi gli anni trascorsi sono tanti ed un legame così longevo con una band non può che essere particolarmente profondo, così come lo è per me che nel 1980 non ero ancora nata. Un tour d’addio accompagna nel ripercorrere il passato, rende più vivido il legame con certi ricordi.
Io negli anni ’80 ero una bambina, ricordo un enorme poster dei Litfiba alla parete della stanza di un mio cugino più grande; negli anni ’90 ero adolescente, ricordo il ragazzo che mi piaceva suonare Tex in un centro sociale occupato; negli anni 0 mi ricordo un sacco di viaggi, concerti, amici, peregrinazioni a Via de’ Bardi, mi ricordo la gente sconosciuta con cui mi sono scambiata il sudore, gli abbracci e i sorrisi ai live.
È incredibile quanto le canzoni, certe canzoni, riescano a divenire parte del vissuto personale di ognuno, è incredibile quanto abbiano il potere di farle intrecciare le storie.
È stato così la sera del 7 maggio 2022 alla Casa della Musica a Napoli, come ritrovarmi brutalmente in quella stanza con il poster alla parete ed essere scaraventata immediatamente dopo in quel centro sociale occupato, inclusa tutta la vita che c’è stata in mezzo e dopo, ma anche come essere tutti assieme intimamente parte di una storia più grande, ma andiamo per gradi.
Sono in ritardo, ma appena metto piede all’interno della Casa della musica parte, con un tempismo quasi inverosimile, Eroi nel vento e da fuori a dentro cambia tutto all’istante.
Ci ritroviamo in vero live, qualcosa a cui i due anni pandemici ci avevano disabituato, quella sensazione di essere realmente tutti assieme, quel sentimento totale e collettivo che si prova ai concerti, quel senso dionisiaco di pienezza.
I pezzi sul palco scorrono uno dopo l’altro ed ognuno è un tuffo al cuore, c’è un sapore nostalgico perché si tratta di un saluto ad un band che ci ha cresciuti, ma non c’è nulla di autocelebrativo in loro, almeno nel loro concerto.
I pezzi che propongono ritornano da un tempo lontano eppure funzionano più di quarant’anni dopo, risultano attuali, con i loro testi poetici e profondi degli esordi e un sound che è invece lontanissimo da tutto ciò che è venuto dopo e che a distanza di tanti anni funziona ancora. Forse è questa l’essenza del rock.
Quello dei Litfiba è un palco politico, lo è stato da sempre, così c’è spazio per temi di attualità, per la dedica di Lulù e Marlene al conflitto in Ucraina, per condannare mafie, soprusi e violenze ed anche per intonare tutti assieme Bella Ciao.
Sul fondale alle spalle dei musicisti, ci sono quattro X che rappresentano i decenni di vita della band che è riuscita a scrivere la storia del rock italiano attraverso quell’improbabile ed efficientissimo equilibrio tra la serafica compostezza di Ghigo Renzulli alla chitarra e la strabordante energia di Piero Pelù alla voce e non solo alla voce.
Pelù è un vero frontman, di quelli che rievocano l’immaginario di un rock lontano, quello in cui i musicisti erano divinità ed i frontman degli idoli erotici e infatti sul palco tutto è sessualizzato: il cavo del microfono con cui Pelù gioca, i movimenti pelvici a cui si abbandona, la cintura su cui posa le mani, quelle cose che fa con la lingua.
È un animale da palcoscenico e il palco sembra il suo habitat naturale, è istrionico, danza con le braccia e disegna la musica con i movimenti delle mani nei momenti più psichedelici.
Pelù è carismatico, è ancora assolutamente credibile, ma è anche incredibile: salta per due ore, sta magnificamente a torso nudo, indossa pantaloni attillati con le borchie e sembra assurdo che sia nonno ed abbia 60 anni. Io non so voi, ma io i miei nonni me li ricordo diversi.
Tutto il concerto è quasi un ritorno a sonorità lontane: quel rock virile ormai desueto, glaciale post punk, raffinatissima dark wave, virate psichedeliche, che con Renzulli e Pelù – accompagnati per l’occasione da Luca Martelli alla batteria, Dado Neri al basso, e Fabrizio Simoncioni alle tastiere – funzionano ancora meravigliosamente.
I brani si susseguono accompagnati dagli immancabili proclami da corteo di Pelù e dal suo sempre vivo impegno sociale e civile, mentre Renzulli fa parlare la sua chitarra.
Non mancano momenti di grande pathos come Fata Morgana in cui Pelù sembra evocare quasi una danza esoterica e di grande coinvolgimento emotivo come Il volo o catartici come Sparami.
Ci sono pezzi immortali come Istanbul e Apapaia, ma anche brani in cui si balla come Ritmo e scanzonati come Regina di cuori, momenti leggeri come Spirito o di festa orgiastica come Laciodrom, ma c’è anche Cangaceiro.
Il concerto procede dritto e veloce come in un climax in cui l’adrenalina sale fino a El Diablo e lì improvvisamente finisce, lasciando un po’ la sensazione di qualcosa che non si è conclusa del tutto, di un apice che stava per arrivare. Ma le luci si accendono: è finita.
Quarant’anni sono troppi per essere racchiusi in un paio d’ore, c’è qualche pezzo importante di cui si sente irrimediabilmente la mancanza e la sensazione di non averne ancora abbastanza. Toccherà andare a qualche data del tour estivo con l’auspicio di ritrovare sul palco anche Maroccolo ad Aiazzi. Que viva el bandido Litfiba!
Mi è piaciuto il testo del tuo intervento Nicoletta. Mi sono scaricato anche l’articolo perchè ogni tanto mi piace a ritroso rileggere qualcosa. Anch’io li ho conosciuti tardi i Litfiba…. neanche farlo apposta nel1999 quando si sono divisi. E’ stato mio figlio (che oggi ha 39 anni) a farmeli conoscere con i dischi, le musicassette poi i Cd, ecc. ecc. Naturalmente quando si sono riuniti nel 2009 non abbiamo perso occasione di andarceli a vedere e sentire. I tour dal 2009 oggi li abbiamo seguiti tutti non mancando mai ad almeno una data. Io in qualche tour ho partecipato anche a più di una data. Naturalmente in questo tour d’addio abbiamo già acquistato i biglietti per la data di Romano d’Ezzelino di fine agosto (… sic… spero non sia l’ultima!!!). Un caro saluto.