La sacerdotessa del rock a Pompei: Patti Smith incanta il pubblico del Teatro Grande
POMPEI. Dopo esattamente 50 anni dall’iconico Live in Pompei dei Pink Floyd, arriva Patti Smith, figura non meno iconica, a far risuonare nuova musica nella suggestiva location del Teatro Grande e non senza ricordare la ricorrenza: il battista/tastierista Tony Shanahan la omaggia infatti con il famoso riff di basso di Money.
Sulle prime il concerto sembra iniziare un po’ sommesso con Grateful, tratta dall’album Gung Ho Grateful, ma già dal secondo brano Redondo Beach, un classico di Horses, album di esordio della cantautrice, ritroviamo l’energia che caratterizza l’artista.
È ben nota la passione di Patti Smith per la poesia. Quando giunse a New York giovanissima e squattrinata l’artista non sognava di fare musica, piuttosto di vivere di poesia, solo in seguito ha iniziato a mettere in musica i suoi versi divenendo la “sacerdotessa del rock” che conosciamo oggi.
Non sorprende quindi l’omaggio al suo amico e poeta scomparso Allen Ginsberg del quale recita la nota finale al poema Howl. Tutto è santo, ci decanta: il mondo, l’anima, la pelle, il naso, la lingua, il cazzo e il buco del culo.
C’è spazio anche per varie cover di artisti che hanno ispirato la Smith come After the Gold Rush di Neil Young e The Wicked Messenger e One too many morning di Bob Dylan; la band omaggia anche Lou Reed con Walk on the Wild Side, alla quale la cantautrice partecipa solo verso la fine rientrando sul palco sull’ultimo ritornello.
Segue Nine, canzone dedicata a Jhonny Depp che lei definisce Capitan Jack Sparrow. Dice vi aver parlato con la madre dell’attore di questo, prima che lei si spegnesse e dell’intento di scrivere una canzone sulla nascita del figlio; il nove (di giugno) cui fa riferimento il titolo della canzone è infatti il giorno in cui Jhonny Depp è nato e pare che Patti, presentatasi a un compleanno di questi senza regalo abbia deciso poi di rimediare dedicandogli una canzone.
Patti Smith è come sempre molto colloquiale: ci parla di quello che ha fatto in mattinata, dei suoi giri turistici nella città di Napoli, scherza sulla sua età, dicendo di esserci stata al momento dell’eruzione del Vesuvio, si lamenta del caldo per il quale dice non aver indossato la sua solita giacchetta e dell’umidità che le appanna gli occhiali mentre – scusandosi per non essere capace di farlo in italiano – ci legge una traduzione in inglese dell’Infinito di Leopardi e dice di trovare connessioni tra questa e la sua Pissing in a river che la band inizia a intonare.
È un momento di pura emozione, uno dei momenti più alti del concerto. Da qui in poi si va verso la fine procedendo spediti con i pezzi più noti, la celeberrima Because the night che dice di aver scritto per Fred “Sonic” Smith, chitarrista degli MC5, il padre di Jackson Smith che è sul palco a suonare la chitarra ed infine, in chiusura, Gloria, che conclude ringraziando Gesù dopo i versi finali “Jesus died for somebody’s sins but not mine”.
Torna sul palco per il bis con l’immancabile People have the power, intimando ai membri della security di lasciar avvicinare il pubblico per un ultimo pezzo sotto palco. Su quale pezzo altrimenti?
La scaletta: Grateful, Redondo Beach, Footnote to Howl, My Blakean Year, The Wicked Messenger, One Too Many Mornings, Nine, Dancing Barefoot, Beneath the Southern Cross, Walk on the Wild Side, Boy Cried Wolf, After the Gold Rush, Pissing in a River, Because The Night, Gloria, People Have the Power.