Pompei, i limiti della riforma Franceschini evidenziati dal Progetto Eav
POMPEI. Il recente rinvenimento di una pietra miliare antica nel corso delle opere preliminari al cantiere aperto in via Lepanto nei pressi della palazzina dell’ospizio comunale “Borrelli” ha messo in luce lo “strabismo” operante sulla archeologia a Pompei e tutto il vesuviano dopo la riforma Franceschini.
Nella Pompei moderna, sul versante occidentale opera il Parco Archeologico, riguardo ai controlli nell’edilizia (pubblica e privata), mentre su quello orientale (dopo piazza Bartolo Longo) opera la Soprintendenza di Napoli.
Ne consegue che se prima ai piedi del Vesuvio c’erano “due Pompei” ora sono diventate tre, sotto parecchi punti di vista, formali e concreti.
È una divisione di compiti e di funzioni che riguarda l’apparato amministrativo dello Stato e si riflette sul business: non solo sui lavori edili ma anche sull’analisi e valorizzazione culturale dell’itero territorio. Riguarda il comprensorio vesuviano, la Provincia di Napoli e tutto il Bel Paese.
Nel caso del rinvenimento della pietra miliare, i lavori pubblici in corso sono inerenti al progetto urbanistico (c.d. “Progetto Eav”) che ridisegna l’assetto stradale del versante orientale della Pompei moderna conseguente all’eliminazione di quattro passaggi a livello della Circumvesuviana sulla tratta Torre Annunziata-Poggiomarino.
Il fatto che (nel caso specifico) il responsabile di cantiere abbia dovuto richiedere l’intervento di un funzionario della Soprintendenza di Napoli ha riproposto un esempio d’incongruenza gestionale che, anziché eliminare burocrazia, complica procedure e controlli.
La riforma Franceschini ha, nei fatti, trascurato l’unità culturale del comprensorio vesuviano-sarnese, che permane nei confini dell’Ager Pompeianus.
Essa si fonda sull’ipotetica morfologia del vesuviano-sarnese attorno al 79 d.C., quando era approssimativamente delimitato a nord dalle pendici del Vesuvio, ad est e a sud, dal corso del fiume Sarno e ad ovest dalla sua linea di costa nello sbocco a mare del medesimo.
Perché una riforma del genere? Appare palesemente basata sulla diversa attrattività dei siti. In poche parole è stato necessario separare la gestione dei siti che attraggono visitatori numerosi per i più svariati motivi, da altri (cosiddetti “minori”) che, a parte il ceto scientifico, non suscitano interessi per gli operatori turistici internazionali.
Sono stati creati Parchi Archeologici dotati di autonomia speciale. Musei in grado di essere “presentati” alle borse del turismo con caratterizzazioni e servizi ai diversi target di clientela internazionale. Tutto il resto sarebbe stato considerato “bad company”, vale a dire “paccottiglia” da gestire a costi marginali perché non suscettibile di profitti.
Ritornando alla pietra miliare rinvenuta ultimamente, sarebbe stato interessante sapere se si tratta un reperto pompeiano della via per Nuceria o di un elemento segnaletico più recente, presumibilmente della via Regia delle Calabrie.
«Il Parco Archeologico di Pompei non è stato interpellato sul ritrovamento della pietra miliare che è stata ritrovata nell’area di competenza della Soprintendenza di Napoli e saranno solo loro ad occuparsene» è stato riferito alla richiesta di informazioni riguardanti l’esame del reperto.
Abbiamo così avuto modo di valutare la differenza: se si fosse trattato del Parco Archeologico la notizia sarebbe arrivata il giorno stesso “al telegiornale”. Dal momento che invece l’indagine è risultata di competenza della Soprintendenza di Napoli… “campa cavallo che l’erba cresce”.