Lo studio della tradizione funeraria a Pompei nelle necropoli di Porta Nocera e di Porta Stabia
POMPEI. Nell’antica Pompei le tombe sono tra le cose più “vive” che si possano incontrare. Raccontano storie, ricordano personaggi, talvolta descrivono volti, riferiscono di fatti accaduti e (quasi sempre) custodiscono segreti.
Ma i sepolcri non parlano solo dei “morti”, anzi. Proprio le necropoli possono rivelare il modo in cui i vivi affrontavano culturalmente e quotidianamente la scomparsa dei loro cari, alimentando così una “cronaca pompeiana della morte ordinaria” (in opposizione alle morti “straordinarie” legate, ad esempio, all’eruzione).
Ecco perché gli scavi nelle necropoli di Pompei sono al centro del Programma di ricerca della École française de Rome in collaborazione con l’École Pratiquedes Hautes Études du Cnrs Pacea e con il Parco Archeologico di Pompei. Il Programma, diretto da William Van Andringa e Henri Duday, gode del sostegno dell’Institut Universitaire de France e della Fondation Simone et Cino Del Duca.
Le necropoli di Porta Nocera e Porta Stabia a Pompei, quindi, sono diventate un laboratorio unico al mondo per lo studio della tradizione funeraria della cittadina vesuviana.
Fino a poco tempo fa, tutto quello che si sapeva sui riti funerari derivava dallo studio delle tombe monumentali conservate lungo le strade che portano fuori dalla città e le iscrizioni su di esse.
Invece, i recinti funerari di Pompei – le aree intorno ai sepolcri, su cui si è concentrato l’interesse del progetto francese – offrono l’opportunità eccezionale di osservare non solo la parte più profonda delle tombe, oggetto abituale dell’archeologia funeraria, ma anche gli strati sottostanti che l’eruzione “congelò” nel 79 d.C.
È qui che si sono conservate, in particolare, le strutture legate alla cremazione dei corpi e le tracce dei gesti commemorativi. Ecco perché è stato possibile individuare un’ampia moltitudine di tracce dell’attività funeraria dei pompeiani.
Il momento del funerale è stato documentato dalle aree di cremazione in cui gli officianti hanno rotto gli oggetti rituali (boccette di profumo, coppe, lampade ad olio), alla fine di una sequenza di gesti che può essere ricostruita.
È stato possibile ricostruire con sorprendente precisione anche il modo in cui le ossa bruciate, che definiscono la sepoltura, furono raccolte dalla zona di cremazione, proprio grazie ai mucchi di ossa e ai residui di pira contenuti nelle tombe.
Pure i metodi utilizzati per costruire le sepolture sono descritti in dettaglio e dal confronto tra un defunto e l’altro emerge l’organizzazione dei costumi locali. Infine, i frammenti di oggetti lasciati sulle tombe hanno permesso di ricostruire i riti commemorativi e la loro varietà.
«Fin dall’inizio – spiega William Van Andringa della École pratique des hautes études, Paris – la nostra ricerca a Pompei è stata concepita nella duplice prospettiva di uno studio dei gesti e di un approccio metodologico più approfondito, che ci ha portato a impostare una registrazione “massimalista” dei resti più piccoli, siano essi oggetti fabbricati, resti vegetali (grano e frutta carbonizzati, legno utilizzato per la pira), ossa di animali e, naturalmente, resti umani».
«Le tecniche di campo impiegate – aggiunge – hanno gradualmente rivelato l’estensione delle tracce lasciate dai pompeiani nella loro frequentazione regolare, anche quotidiana, dei sepolcreti, invitandoci a modificare progressivamente i protocolli di registrazione e l’interrogatorio per rintracciare gradualmente la catena materiale delle pratiche e delle sequenze gestuali».
Come già detto, il Progetto di scavo delle tombe si è soffermato in particolare sulle necropoli di Porta Nocera e Porta Stabia, considerate un vero e proprio laboratorio per lo studio dei riti funerari di Pompei. Gli scavi continueranno per
realizzare studi approfonditi sul rituale: sui gesti, sulle modalità di frammentazione degli oggetti e sulla costituzione dei suoli in un ambiente funerario. «La ricerca nei prossimi anni – specifica Van Andringa – deve anche definire meglio il modo in cui i cittadini e i liberti mostravano l’immagine che volevano dare della loro famiglia attraverso l’organizzazione del loro recinto di sepoltura».
Nel settembre 2022 la campagna di scavo ha interessato due settori. Una prima squadra ha continuato a scavare due aree funerarie del Fondo Pacifico o Porta Nocera Est, una sezione della necropoli situata a 200 metri dalla Porta Nocera, lungo la strada per Nuceria.
«In questo settore – aggiunge Van Andringa – abbiamo anche completato lo scavo di due aree di sepoltura situate sulla terrazza. L’area funeraria adiacente è l’Area 3E, dove sette campagne di scavo hanno registrato 15 sepolture e le pire in cui sono stati bruciati i defunti. Il lavoro di Henri Duday consisterà, tra l’altro, nell’identificare gli individui bruciati nella zona di cremazione del recinto, identificando le connessioni ossee».
Una seconda squadra, invece, ha lavorato sul recinto dietro il monumento funerario di M. Tullius (necropoli di Porta Stabia), un’importante figura locale del periodo augusteo, nell’ambito di uno studio volto a completare l’indagine condotta sul tempio della Fortuna Augusta a nord del Foro (2008-2013).
«Nel tempio e nella tomba di M. Tullius – spiega Van Andringa – abbiamo due monumenti che ci permettono di avvicinarci in modo nuovo all’organizzazione del potere municipale all’inizio del Principato, basato su uno scambio di buone pratiche tra la città, che organizza la “morte pubblica” dei suoi cittadini “migliori”, e i notabili, che investono nel buon funzionamento della città».
«Da qui l’organizzazione completamente nuova dell’ingresso alla città, per mostrare la memoria pubblica dei suoi notabili. In quali circostanze? È quello che stiamo cercando di scoprire con lo scavo del recinto Tullius, che ha rivelato una serie di riempimenti che poggiano su un’area di combustione rituale, ovviamente augustea e forse legata alla costruzione del monumento».
«Sotto – conclude l’archeologo – troviamo riempimenti repubblicani, ben datati al 120-70 a.C., con fosse detritiche contenenti, una di artigianato orafo, l’altra di vasellame da tavola. Ciò dimostra che all’epoca della fondazione della colonia, Porta Stabia non era uno spazio funerario».