Raymonda e i giovani coreografi al Teatro San Carlo: dal balletto classico alla danza contemporanea
NAPOLI. Una serata di danza variegata, quella proposta dal Teatro San Carlo – in scena al Teatro Politeama a causa dei lavori interni al Massimo napoletano – con cinque titoli eterogenei, che spaziano dal balletto classico alla danza di stile neoclassico e contemporaneo.
Raymonda e i giovani coreografi, questo è il titolo dato allo spettacolo, che in effetti se ha un punto di convergenza tra le esibizioni proposte, risiede nel fatto che i giovani coreografi di cui si propongono i lavori siano in qualche modo tutti legati all’Opéra di Parigi, da dove proviene anche la direttrice del Balletto del San Carlo, Clotilde Vayer.
La recita della quale scrivo è quella del 1° febbraio 2023, ma è ancora possibile assistere alle recite successive in programma per marzo. Lo dico subito: non amo gli spettacoli che propongono pezzi slegati, senza un filo conduttore, mi sembra che manchino di senso artistico nella proposta.
Eppure riconosco che costruire uno spettacolo su un’alternanza di repertorio classico e composizioni di stile più moderno sia una combinazione apprezzabile e facilmente fruibile al grande pubblico. E forse anche un modo per avvicinarlo, a piccole dosi, ad un’arte che riceve sempre troppa poca attenzione rispetto a quella che meriterebbe.
Talvolta il fine giustifica i mezzi e se il fine è rendere la danza un’arte meno elitaria, riuscire a portare le persone a teatro e non solo gli addetti ai lavori, ebbene questo vale un passo indietro e forse più di uno.
Ad aprire la serata è il terzo atto di Raymonda del celeberrimo coreografo francese Marius Petipa. Il balletto, su musica di Aleksandr Glazunov, fu presentato per la prima volta al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo nel 1898. Il terzo atto, in effetti, il Grand Pas Classique Hongrois, si presta bene ad essere proposto da solo, non essendo narrativo ed emancipandosi dall’impianto drammaturgico per proporre una danza pura, che è quasi un esercizio di tecnica e di stile.
Anche in questo caso la versione del balletto proposta è quella dell’Opéra di Parigi. In quanto detto però, qualcosa stride. Stride il tentativo di riproporre uno stile che non è quello in cui i danzatori del San Carlo si sono formati, stride un ensemble che purtroppo non sempre è insieme, stride una danza che appare alle volte incerta e spesso più eseguita che danzata, stride la musica su base registrata e stride anche il Teatro Politeama, poco idoneo ad una visione d’insieme.
Sicuramente l’atto è ben eseguito ed è evidente il lavoro degli interpreti, eppure non si riesce a godere di un’armonia d’insieme, di una bellezza pura, impeccabile, quale ci si aspetterebbe da un corpo di ballo di tale portata.
Un corpo di ballo dovrebbe essere appunto un corpo solo, un’anima sola, invece la sensazione è che ognuno balli per sé, da solista, con diversi atteggiamenti e cercando di essere all’altezza della difficoltà del compito, difficoltà che è di fatto altissima, ma che non si dovrebbe percepire in quanto tale.
Probabilmente fa la sua parte la difficoltà di gestire uno spazio non esattamente idoneo e probabilmente le altre recite sono andate diversamente, ma in questa serata qualcosa manca.
Più convincenti ed affiatate sono invece le étoile Anna Chiara Amirante ed Alessandro Staiano, rispettivamente Raymonda e Jean de Brienne, che appaiono più solidi e sicuri in scena, più curati dal punto di vista stilistico e più attenti nella ricerca della qualità.
I costumi curati da Giusi Giustino sono decisamente all’altezza, sopperiscono a qualche mancanza e restituiscono un po’ di quella magia che la mancanza della musica dal vivo fa invece perdere.
Se l’idea generale con cui ci lascia questo primo atto è quasi quella di una carenza di sensibilità artistica, si resta colpiti dal ritrovarla in Appointed Rounds di Simone Valastro, la seconda coreografia proposta creata originariamente per un gruppo di ballerini dell’Opéra di Parigi nel 2022, su musica di Laurie Anderson.
Il pezzo è particolarmente coinvolgente: cinque danzatori – Stanislao Capissi, Danilo Notaro, Candida Sorrentino, Vittoria Bruno e Chiara Amazio – si mettono a nudo in un’alternanza di assoli, duetti e pezzi d’insieme ben riuscita.
La singolarità di ognuno convive con quella degli altri, come è nelle intenzioni del lavoro e come è congeniale alla natura più moderna del pezzo. Convince il movimento corposo, la danza molto più fisica – paradossalmente più lontana dal lavoro ordinario della compagnia – appare quasi tangibile l’energia e si sente la forza impressa e l’intensità dell’emozione che si intende restituire.
A seguire Delibes Suite, un passo a due d’impianto classico creato da José Carlos Martìnes su una serie di brani del compositore francese Léo Delibes. A interpretare la suite Claudia D’Antonio e Salvatore Manzo; una suite composta esattamente come un Gran pas de deux: adagio, variazione maschile, variazione femminile, coda.
Anche qui un esercizio tecnico e virtuosistico che i due danzatori riescono ad eseguire bene, restituendo la bellezza della danza classica pura, fatta, tra le altre cose, anche di sicurezza scenica.
L’unica perplessità si ha però rispetto alle intenzioni dell’autore: la suite doveva essere smorzata da un tono ironico, quasi come a voler affrontare con un tocco di leggerezza la serietà dei pezzi virtuosistici.
Ebbene, quell’ironia sembra essere soltanto dichiarata: non si legge nella coreografia, non si legge nell’interpretazione. Non si coglie l’intenzione, insomma, se voleva essere quella.
Aria Suspended, passo a due del coreografo Mauro De Candia su musica di Johann Sebastian Bach, è il brano seguente. Si tratta di un duetto che affronta il tema degli opposti, legato all’estetica classica, ma che intende superarla.
Interpretato da Luisa Ieluzzi e Danilo Notaro, utilizza le scarpette da punta ed il vocabolario classico, ma ricorre ad off-balance e ad una relazione tra i partner lontana da quella del balletto: il loro ruolo è alla pari, la donna non è una creatura celestiale e leggiadra da sostenere, come accade in tutto il repertorio classico, ma una partner con la quale interagire, come a sottolineare che ci si sostiene assieme.
In conclusione, l’unico brano eseguito con musica dal vivo: Aunis del coreografo Jacques Garnier, interpretato da Pietro Valente, Ertugrel Gjoni, Giuseppe Aquila. Il suono delle fisarmoniche accompagna la danza dei tre uomini in scena che fonde generi e stili diversi: folklore francese, sensibilità contemporanea, base classica.
Il pezzo è convincente e la musica suonata rende la partecipazione più vivida; i tre danzatori rendono bene lo spirito del brano e riescono a trasportare il pubblico in una dimensione diversa, meno eterea ed elevata rispetto a quella del balletto, più concreta, reale, vitale, densa d’energia. Forse la conclusione migliore, per uscire dal mondo incantato del teatro e tornare, fuori, nel mondo.