Aspettare Godot… al Teatro Bellini di Napoli
NAPOLI. Da un certo punto di vista aspettiamo tutti Godot, in fondo. E chi è Godot alla fine? È possibile chiederselo al Teatro Bellini di Napoli dove, fino al 5 marzo 2023, è in scena la versione del regista greco Theodoros Terzopoulos della pièce beckettiana; per uscire dal teatro, chiaramente, senza avere una risposta.
Lo spettacolo, prodotto da Emilia Romagna Teatro, Ert – Teatro Nazionale e Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, in collaborazione con Attis Theatre Company, trasporta l’indefinito luogo dell’azione in un futuro relativamente prossimo, gravido delle vicissitudini del passato.
Nessun salice piangente in scena, come vuole l’opera originale, piuttosto un piccolo bonsai, e sangue e coltelli, perché siamo feriti, noi esseri umani, e perché è proprio di un’umanità senza certezze che parla l’opera di Beckett, della drammaticità del vivere contemporaneo.
La scena è aperta, non c’è sipario a dividere l’azione scenica dalla realtà, come a sottolineare che quello che accade in scena, per quanto appaia surreale, è il dramma di tutti, perché è costitutivamente surreale la vita.
L’allestimento scenico proposto è molto futuristico, con i personaggi racchiusi in un’enorme scatola fatta di pannelli che si muovono e che compongono una croce, come a dichiarare l’irreversibile pessimismo della pièce, l’ineluttabile condizione di un destino già segnato da una fine, quella croce che ci portiamo tutti, che ci include, ci ingabbia, ci domina.
E in mezzo cosa, se non l’attesa? Attesa di chi? Attesa di cosa? Non lo sa Terzopoulos, come non lo sapeva Beckett. Tutto quello che fanno è mostrarcela, quell’attesa. Se però troppi interrogativi restano irrisolti, forse qualcuno di essi potrà trovare una risposta nell’incontro col regista previsto per mercoledì 1 marzo 2023 presso lo stesso Teatro Bellini.
Nelle note di regia Terzopoulos dichiara di voler analizzare le condizioni per poter tornare a vivere e di rintracciare queste condizioni nel rapporto dell’uomo con l’altro uomo e con l’altro che ciascuno racchiude dentro di sé.
Possiamo leggere da questo punto di vista l’interazione che i due clochard Vladimiro ed Estragone, rispettivamente interpretati da Stefano Randisi ed Enzo Vetrano, hanno tra loro: si interrogano a vicenda, e semplicemente – con tutto il peso e la suddetta croce che questo comporta – stanno.
Stanno in questa perenne attesa, analizzandosi, cercando risposte all’inesausto interrogativo circa questo stare, chiedendosi se stessero meglio dividendosi, ma restando invece sempre assieme, pensando alla possibilità di andarsene, senza mai realizzarla.
In questo stare interagiscono con altri: Pozzo (Paolo Musio) – che, nella prospettiva dell’analisi del rapporto con l’altro, ci mostra il rapporto di forza, nel suo dominio rispetto al servo Lucky (Germano Cervi) – e il messaggero di Godot (Rocco Ancarola), che non fa altro che procrastinare eternamente l’attesa.
Si potrebbe pensare che il ragazzo, continuando a rimandare l’arrivo di Godot, lasci comunque aperta la porta alla speranza, alla possibilità, ma in realtà perpetua solo lo stesso stato di perenne inerzia, in attesa di qualcosa di indefinito. In fondo, Godot è una metafora e “aspettare Godot” è quasi una condizione esistenziale.
Lo spettacolo finisce. Vladimiro ed Estragone non si muovono, anche se si ripropongono di farlo, noi ci alziamo dalle poltrone e ci incamminiamo verso l’uscita senza risposte e, tuttavia, continuiamo ad aspettare.