La delicatissima e sgraziatissima Misericordia di Emma Dante al Mercadante di Napoli
NAPOLI. Misericordia: niente a che vedere con la compassione, piuttosto un agire concreto, un sentimento autentico, che nasce dal cuore e induce al soccorso. Questa è la Misericordia che porta in scena Emma Dante al Teatro Mercadante di Napoli dal 19 al 30 aprile 2023.
È la misericordia che spinge le tre protagoniste Bettina, Nuzza e Anna, rispettivamente Italia Carroccio, Manuela Lo Sicco e Leonarda Saffi, prostitute, emarginate, disgraziate, disperate, a prendersi cura di Arturo (Simone Zambelli), un ragazzino disabile nato settimino da Lucia – amica e compagna di disavventura delle tre, morta di parto – e da un padre violento, un falegname di nome Geppetto.
Il richiamo alla favola è piuttosto esplicito, ma una favola attualizzata, in cui la diversità del ragazzino risiede nella disabilità e non nell’essere una marionetta, una favola in cui gli uomini sono violenti e le donne sono prostitute piene di misericordia.
In fondo sono i temi cari al teatro di Emma Dante da sempre: nessuna colpa e nessun giudizio, solo una delicatezza che stride tra violenza e il degrado, che non urla, ma serpeggia in sottofondo rendendo poetica l’azione.
Un teatro lontanissimo da ogni intellettualismo e vicinissimo all’umanità, quella emarginata, disadattata, ma mai sconfitta, quella ridondante di forza e generosità, quella profondamente umana; quella del sud, con tutto quello che rappresenta.
Misericordia inizia tra il rumore di ferri delle tre donne che lavorano a maglia sedute in fila su uno sfondo nero. L’azione prende il via con una serie di battibecchi tra loro, e si muove tra momenti di spirito e picchi violenti, tra gelosie e conflitti irrisolti, perché succede così nella vita: si litiga e si sta insieme, ci si odia e ci si ama.
La fisicità delle attrici e dell’attore riveste un ruolo di primo piano: il ritmo è dettato dai loro corpi, dai loro movimenti nello spazio, dai loro gesti, dalle loro occhiatacce, dai loro occhi pieni di disperazione e di amore.
I corpi delle tre assumono un ruolo di primo piano soprattutto quando si rivelano nella loro nudità, quando si vendono e si rendono oggetto, forme e taglie diverse che danno vita quasi ad una danza orfica che da sola racchiude un casellario infinito di temi.
Ma la danza di Arturo riesce ad essere ancora di più: qualcosa di istintivo e liberatorio, fatta di spasmi e aspirazioni, primitiva e commovente, riempie lo spazio e lo ridisegna, lo rende altro, arriva al cuore ed allo stomaco dello spettatore, dice senza dire, magistralmente.
Arturo tutte le sere aspetta alla finestra che passi la banda e sogna di suonare, perché anche nella disperazione si sogna. Arturo cresce in un tugurio, con tre donne sgraziate e piene d’amore, vestito alla buona con abiti da donna riciclati, giocando con i rifiuti, e sogna.
Questo è Misericordia: il racconto di queste tre donne che, nonostante la disperazione e i conflitti tra loro, si prendono cura di un bambino ed in questa cura ritrovano armonia, ricordandoci che si è madri anche se non si danno alle luce i figli.
Ma non solo, perché essere madri significa anche avere la forza di superare il dolore del distacco per concedere ai figli un futuro migliore. E così le tre madri riempiono la sgangherata valigia di Arturo di ricordi e dei pochi risparmi che hanno – in una scena di rara bellezza – per lasciarlo andare in orfanatrofio e consegnarvi un’altra vita, per consegnarlo ai suoi sogni.
Un atto unico di soli 55 minuti estremamente fisico e denso di forza e poesia, in cui rintracciare l’umanità più profonda nella più estrema miseria ed in cui l’attesa della banda lascia la speranza sospesa e lo spazio ad applausi interminabili.