Successo a Pompei per l’Odissea postmoderna di Giuliano Peparini
POMPEI. È andato in scena all’interno del Parco Archeologico di Pompei, nella meravigliosa cornice del Teatro Grande, a chiusura della rassegna estiva Pompeii Theatrum mundi – alla sua sesta edizione -, Ulisse, L’ultima odissea, creazione del regista e coreografo Giuliano Peparini, scritta in collaborazione con Francesco Morosi e prodotta dalla Fondazione Inda.
La prima è andata in scena sabato 15 luglio 2023, con replica la sera successiva; entrambe le serate hanno registrato il sold out, mostrando la grande affezione del pubblico alla rassegna.
Lo spettacolo presenta degli spunti interessanti: si tratta chiaramente della storia dell’eroe omerico, ambientata però nella nostra contingente contemporaneità. Nella fattispecie l’ambientazione iniziale è un aeroporto, simbolo per eccellenza di partenze e ritorni, emblema perfetto per rappresentare l’idea del viaggio per l’uomo moderno.
L’aeroporto è pieno di persone scalpitanti in attesa ognuna del proprio viaggio, nello specifico del proprio ritorno, un ritorno che però tarderà ad arrivare a causa di una serie di disturbi meteorologici che lasciano i passeggeri bloccati in sala d’attesa ed impossibilitati a conoscere i tempi ed i modi del proprio ritorno.
Inizia così il viaggio di Ulisse. Uno di questi passeggeri, infatti, si ritrova a rivivere il medesimo viaggio del personaggio omerico assieme agli altri passeggeri che divengono i suoi compagni. Qui qualcosa lascia perplessi: se all’inizio l’idea di rendere il viaggio di Ulisse una trasposizione del viaggio dell’uomo moderno sembra interessante ed offrire numerosi spunti di riflessione, ora quegli spunti sembrano abbandonati e l’idea si perde per strada.
La storia che inizia è esattamente quella di Ulisse, senza nulla di attuale, con il testo originale, con il viaggio originale, con i personaggi originali, di postmoderno non resta altro che l’ambientazione.
L’Ulisse contemporaneo è Giuseppe Sartori, uno yuppie che da uomo in giacca in cravatta si ritrova in canotta ad affrontare l’epopea di Ulisse: l’ira di Poseidone (che ha causato la tempesta che ha bloccato i voli), Polifemo, e poi Circe che intende sedurlo, come Calipso e le Sirene, la discesa negli inferi e le profezie di Tiresia, i dolore per i compagni persi durante il viaggio, la nostalgia di Penelope e il pensiero di casa sempre vivo a dargli forza.
Ad affiancarlo, un barbone (Massimo Cimaglia) che diviene una sorta di aedo moderno. Certo, l’attualità è nelle scene, nei costumi, nella musica – molto bella – del gruppo di ispirazione folk-rock dei Reuben and the Dark, nel maestoso allestimento scenico cui la regia di Peparini ci ha abituati, nei movimenti coreografici, invero poco presenti a tutto vantaggio della recitazione.
La danza è poca e l’attualità sembra improvvisamente assente, l’idea di affrontare la ricerca interiore di un uomo degli anni 0 si perde del tutto. La storia resta esattamente quella originale, che sì, è metafora del viaggio, della ricerca, del ritorno, ma che nulla aggiunge e in nessun modo presta fede all’idea di attualizzarla.
Anche l’intenzione di mostrare il bisogno di movimento dell’uomo del XXI secolo, di spostamento, l’ansia di movimento, la necessità di vivere viaggi ed esperienze, di non essere mai fermo, di non avere stabilità, è solo professata, ma mai rappresentata.
Nel momento esatto in cui inizia la riproduzione fedele del poema omerico si parla di un uomo che vuole tornare alla radici, che da null’altro è sospinto se non dal bisogno del ritorno, dal desiderio di Itaca, di casa, esattamente il contrario di chi ha bisogno irrefrenabile di spostamento ed inquietudine di stabilità.
L’idea di un’Odissea 2.0 è buona, ma resta pretenziosa e solo in nuce, non sviluppata, ma solo proposta. Il pubblico, comunque, apprezza molto lo spettacolo, ben allestito e con una buona produzione alle spalle. In scena tutto funziona e nulla non segue il copione, ma l’idea viene tradita, o quantomeno non portata a compimento.
Il merito è comunque quello di portare in scena una storia classica e creare grande affluenza di pubblico, di riuscire a rendere pop uno dei poemi fondamentali della cultura classica, di voler avvicinare il mito all’attualità, l’eroe all’uomo comune.
Il cast è numerosissimo e questo riesce a dare molta vita alla scena. Ci sono musica, danza e teatro classico che coesistono e c’è l’idea che l’uomo, secoli fa come oggi, per sua natura, si perda e in qualche modo, tra mille perizie, con infinite astuzie, stremato e mai vinto, cerchi la strada di casa. In fondo tutti abbiamo bisogno di Itaca.