Pompei, Capitale della Cultura: il concorso accende la competizione tra forze politiche
POMPEI. Se è vero che sull’aspirazione di portare il nome di Pompei ai vertici del mondo sono tutti d’accordo, è altrettanto vero che riguardo alla strategia politica per esaltare e diffondere la cultura del singolare museo a cielo aperto, formato dell’antico centro vesuviano dell’Impero romano, ognuno sostiene un’opinione diversa. A loro volta, anche le forze politiche locali si caratterizzano per una strategia diversa sulle iniziative da mettere in campo e i mezzi da utilizzare.
Già il consigliere comunale di minoranza Domenico Di Casola ha detto la sua a riguardo: «Tale momento deve essere vissuto con un alto senso di responsabilità, di alta progettualità, perché il mondo intero deve accorgersi anche della Pompei nata all’inizio del secolo scorso, della grande lezione di integrazione sociale e di accoglienza verso gli ultimi (per qualche luminare dell’epoca erano considerati “spazzatura”) fornita, all’epoca, all’Italia intera, negli anni più difficili che vanno dalla prima alla seconda guerra mondiale, grazie all’opera sociale e di fede del Beato Bartolo Longo».
L’esponente di minoranza in un suo post ha inteso caratterizzare la sua opinione sostenendo l’etica diffusa da Bartolo Longo, ispirata a principi di cattolicesimo sociale, che non sono tramontati, nella difesa delle minoranze e delle diversità, con iniziative positive di contrasto all’emarginazione.
All’epoca era principalmente l’educazione scolastica praticata a favore di minori di fasce svantaggiate della popolazione (come i figli dei carcerati). Oggi essa dovrebbe essere costituita dall’affermazione di una dignità urbanistica di convivenza uguale per tutti i residenti, riguardo all’ambiente, i servizi, la sicurezza, ecc.
Al contrario, la bellezza viene troppo spesso contingentata, il verde progressivamente ridotto e le piazze del centro vengono periodicamente rifatte, mentre coesistono, nella stessa Pompei, periferie abbandonate all’abusivismo e al degrado. E mentre i residenti si sentono discriminati da iniziative pensate esclusivamente per favorire un turismo commerciale ma povero di effettivi contributi culturali (come la movida violenta e rumorosa).
Detto questo, dev’essere in ogni caso argomentato che la partecipazione a concorsi che metta la cultura al primo posto è indubbiamente una scelta di valore, che non può essere che condivisa. Anche perché fa scattare una competizione di civiltà, una volta che sarà stato chiarito che qualsiasi valore civile (come la cultura) può elevare l’apprezzamento di una comunità da parte di altre solo se forma il risultato di un impegno interno e valorizzato con una pratica costante.
Per farla breve, i pompeiani se veramente vogliono vincere il titolo di Capitale della Cultura dovranno dimostrare nel progetto in concorso (che dovrebbe essere formulato dal basso) quale cultura sono in grado di elaborare e mettere in campo grazie al protagonismo dei singoli, alla tradizione del territorio e alle caratteristiche ambientali che ne hanno influenzato i modi di vivere (un esempio è dato dai sassi di Matera, che da fattore di degrado si sono trasformati in fattore di cultura).
Far leva su presenze istituzionali di rilevo (come la Chiesa e gli Scavi) può tornare utile solo per iniziative condivise attivamente dalla maggioranza dei residenti, altrimenti si rischiano le stesse critiche che furono formulate alle mosche che viaggiavano sulle corna del bue e si attribuivano il merito del suo lavoro dei campi, commentando: «Ariamo».