Il Tempio di Dioniso sulla collina di Sant’Abbondio a Pompei
POMPEI. Il Tempio di Dioniso del III secolo a.C., sito fuori l’area archeologica di Pompei, non viene interessato dal flusso turistico perché è nascosto in una traversina periferica della città nuova, in località Sant’Abbondio. «È un luogo da far conoscere e rendere fruibile al pubblico» fa sapere il Fai (Fondo Ambiente Italiano), che lo ha recensito tra i luoghi del cuore da non dimenticare. Effettivamente il Tempio di Dionisio rappresenta un sito archeologico e culturale speciale se si approfondisce la sua conoscenza.
Si tratta di un santuario di piccole dimensioni, che ripropone struttura e significati di un tempio funerario a camera greco-sannita. Fu costruito nell’epoca preromana della Pompei antica e sepolto dall’eruzione del Vesuvio. Venne scoperto casualmente a seguito dell’esplosione di una bomba della Seconda Guerra Mondiale. I primi scavi sistematici si ebbero nel 1947 e successivamente nel 1973. Vennero rimessi in luce due triclini a schola e, oltre al materiale architettonico, furono ritrovati elementi in ceramica, ossa di animali e residui vegetali.
Il tempio è ubicato in un’area già abitata durante l’età del bronzo, nel periodo arcaico, tra la fine del III secolo e l’inizio del II secolo a.C. Venne edificato a proprie spese da Maras Atinius, edile sannita, divenuto successivamente questore. In esso furono presumibilmente organizzati riti misterici in nome di Dionisio, anche se la presenza di un tiaso (setta segreta) è accertata solo a partire dall’età imperiale.
Il culto rimase attivo anche dopo il divieto del Senato romano del 186 a.C. e fu ampliato dopo il terremoto del 62 d.C. con l’aggiunta di altri elementi nella struttura originaria. Era probabilmente in attività all’epoca dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
Il tempio, in stile dorico, era dotato di ingresso, altare, ai lati due triclini con panche in muratura e un tavolo centrale per i banchetti sacri dei misteri dionisiaci. L’altare, spostato nel Parco archeologico di Pompei, porta ai due lati un’iscrizione osca dedicata a Maras Atinius. Una rampa, aggiunta probabilmente nell’ultimo periodo di costruzione del tempio per consentirne l’accesso all’interno, è decorata con la scritta in osco: “Ovidius Epidius, figlio di Ovidius, e Trebius Mettius, figlio di Trebius, gli edili”.
Il tempio, a circa un miglio sud-est fuori dalle mura di Pompei, sorgeva sulla collina sulla valle del Sarno, a ridosso di quella che doveva essere la foce del fiume e quindi la costa. Non era collegato a nessuna strada principale, forse solo un ponte sul Sarno lo univa ad altri santuari suburbani.
Sull’ingresso del pronao è posto un frontone in tufo sul quale sono scolpite due figure distese: a sinistra è Dioniso, che ha nella mano destra un kantharos e nella sinistra dell’uva. Al suo fianco una donna, Arianna/Afrodite.
Il pronao, contornato da panchine in muratura, ospita la cella dietro l’altare. Mura e colonne sono stuccate. Esternamente, addossato tra il muro del pronao ed uno dei due triclini, vi è una schola, anch’essa aggiunta in un secondo momento rispetto alla costruzione del tempio. Tra i triclini e la schola sono state rinvenute 16 cavità nella terra interpretate in vario modo.
Il motivo iconografico della ierogamia dionisiaca scolpita sul frontone di tufo del tempietto del rione di Sant’Abbondio è il medesimo di quello dipinto in uno degli ipogei di Neapolis. È dotato degli stessi elementi di decodifica del sistema simbolico espresso dagli altri elementi della medesima decorazione pittorica, riconducibili al dionisismo nella professione iniziata “dall’élite” greco-sannitica di Neapolis, cui erano destinati gli ipogei monumentali.
Il mito della fondazione greca di Neapolis, affermatasi nel IV secolo a.C., rimase evidente nel I secolo d.C. nonostante l’integrazione della popolazione originaria con altre componenti campane. Una testimonianza della grecità di Neapolis è data dalle tombe a camera dipinte, realizzate tra l’ultimo quarto del IV e la metà del III secolo a.C.
Attualmente esse sono ipogee, ma erano site al piano terra ed aperte all’esterno con una facciata monumentale da cui entrava la luce e si accedeva nella camera superiore, arredata per custodire la memoria di famiglia. La tombe a camera stavano quasi tutte a nord del quartiere della Sanità, alle pendici delle colline di Capodimonte.
Il gruppo delle tombe a camera si presenta omogeneo. I sarcofagi a kline e le camere sepolcrali con volte a botte avevano accesso mediante un dromos a gradoni dal vano superiore. Erano stanze sotterranee dove si banchettava e si concludeva col simposio che prevedeva la degustazione del vino.
Quello descritto è il profilo delle quattro tombe di via dei Cristallini e di uno degli ipogei di S. Maria Antesaecula, dotato di figure togate a rilievo che sono state interpretate dal professore Carlo Rescigno, nella conferenza dell’associazione Amici di Pompei del 19 aprile 2024, col raffronto di quelle scolpite sul frontone del piccolo santuario di Pompei.
Le tombe napoletane prevedono due camere sovrapposte: la superiore, che consente l’accesso a quella sottostante, che presentano un bancone sulle pareti e un tavolo sulla parete in fondo arredata di tavolo, come il piccolo santuario di Pompei che rievoca la struttura che accoglie il rituale misterico delle tombe napoletane ipogee. Nella camera superiore lo spazio dei vivi, in quella inferiore lo spazio dei morti.
Gli ipogei del complesso dei Cristallini hanno gli interni simili tra loro. Nella tomba più grande del gruppo, viene conservata la decorazione pittorica. Su ogni parete della camera superiore figurano tre corone di fiori di diversa natura: quella centrale raffigura un ramo di mirto, che sostiene una ghirlanda di fiori e nastri, simile a quelli della parete di fondo della camera inferiore.
Un fregio dipinto corre in alto sulle pareti e lungo i lati del frontone d’ingresso e di quello che porta alla camera inferiore: grifi alternati ad elementi floreali e a teste umane. Nella camera inferiore su tre lati sono allineati otto sarcofagi, sagomati all’esterno sotto forma di kline scolpita, con materassi e doppi cuscini e piedi dipinti come basi di troni.
Paraste a rilievo sono sormontate da capitelli lungo le pareti con testine di Medusa e palmetta nei capitelli angolari. Sulla cornice a dentelli in alto erano appoggiate melagrane e pere di terracotta. Una lucerna di bronzo pendeva al centro della volta. Tra le paraste, sono dipinti festoni di alloro del tipo rigido, in colore verde intenso, stretti ad intervalli da fasce dorate. Sulla parete di fondo, delle infule formano semicerchi sostenuti da racemi arcuati di mirto. La parete di fondo è arredata da un magnifico episema apotropaico.
Le camere inferiori degli ipogei furono usate fino ad epoca romana, insieme alle nicchie della parete di fondo della camera superiore per ospitare rilievi funerari, alterando l’impianto originario. Sulle pareti d’ingresso, ai lati della porta, al disotto dei festoni sono dipinti due candelabri d’argento, di cui è attualmente visibile la sola parte inferiore per il deterioramento dell’intonaco. A destra dell’ingresso in basso è raffigurata una brocca d’argento.
La cronologia dei sepolcreti di Napoli è stata fissata in due periodi, fine del IV secolo-inizio III secolo a.C. e II secolo a.C.-prima metà I secolo d.C.(periodo proto imperiale) con un intervallo centrale del II secolo a.C.
In conclusione, si ritiene che ci siano state 2 frequentazioni successive delle tombe. Una dopo l’impianto, in cui sono state deposte le salme nella camera inferiore, mentre la superiore testimoniava la memoria pubblica. In periodo proto-imperiale, si cominciò ad inserire nelle pareti salme a cremazione, rompendone la decorazione e scavando nicchie nella camera bassa come in quella in alto, rompendo così l’organizzazione iniziale della tomba.
Il culto di Dioniso era diffuso in diverse case anche tramite piccoli santuari come quello di Pompei, che avrebbe avuto una prima fase attiva intorno alla metà del III secolo a.C. e una ripresa in un periodo successivo, in cui furono portate diverse aggiunte alla struttura originaria. Le stesse funzioni furono riprese dopo il Senato consulto che vietava gli eccessi dei baccanali.
Ci fu un culto dionisiaco all’interno del santuario di Sant’Abbondio come nella necropoli napoletana documentato dal misterioso mondo iconografico ritrovato anche nell’universo delle necropoli etrusche.
A un certo punto furono riscontrate anomalie nelle pratiche misteriche del culto dionisiaco, nel quale si diffusero rituali non più rispettosi della tradizione romana, che crearono confusione e disturbo alla sua stabilità sociale con intromissioni nella sfera politica e patrimoniale popolare e con imposizione di vincoli ereditari che minacciavano i patrimoni della famiglie più influenti.
Questi nuovi elementi della pratica iniziatica dionisiaca fecero paura ai responsabili dell’organizzazione dell’Impero romano, facendo arretrare un fenomeno ideologico che fu ritenuto pericoloso. Il culto di Dionisio riemerse quando furono ristabilite le regole. Le élite napoletane coinvolte nei baccanali proibiti dal Senato prima furono costrette ad abbandonare le loro tombe a camera durante il II secolo a.C. e successivamente ripresero a frequentarle.