Il racconto – La mia esperienza alla manifestazione del 5 ottobre a Roma

Pubblichiamo volentieri la nota di Teresa Cimmino sulla partecipazione alla manifestazione romana di solidarietà con il popolo palestinese, per fermare quello che oramai si manifesta come un sistematico genocidio. Teresa, una studentessa universitaria di 19 anni originaria di Boscoreale, frequenta a Ravenna la facoltà  di arte. A Roma, prima di entrare con altri compagni di corso nel flusso dei dimostranti si è incontrata con la mamma per ascoltarne le ultime raccomandazioni alla prudenza. Apprezziamo il contributo, certamente sincero, della nostra giovane conterranea e lo condividiamo, al di là di ogni valutazione di parte, perché ispirato a sani ideali di pace e libertà, diversamente da altri coetanei che agli ideali preferiscono l’alcool e la violenza negli stadi.

La mia esperienza alla manifestazione del 5 ottobre a Roma

di Teresa Cimmino

ROMA. Il cinque ottobre doveva essere una giornata di solidarietà per il popolo di Palestina, un momento in cui migliaia di persone, giovani, anziani, militanti politici e semplici civili si sarebbero ritrovate a Piazzale Ostiense, a Roma, per alzare la voce contro il genocidio in corso in quella regione, sostenuto e finanziato anche dal nostro governo.

L’organizzazione “Giovani palestinesi d’Italia e “L’Unione Democratica Arabo Palestinese” (Udap) aveva coinvolto organizzazioni politiche e sociali da tutta Italia, tra cui l’associazione a cui da universitaria appartengo. Ma quello che doveva essere un momento di protesta pacifica è diventato un campo di battaglia per la libertà di espressione, in una Roma blindata e soffocata dalla repressione poliziesca.

La proposta della manifestazione era stata presentata alla Questura di Roma, così come in molte altre città europee. Tuttavia, solo in Italia, la piazza è stata vietata, rendendo la nostra l’unica manifestazione censurata in Europa. Questo divieto è stato accompagnato da un battage mediatico incessante e dal blocco totale dei mezzi pubblici in città.

Quelli della mia associazione sapevano bene a cosa andavano incontro e, perciò, si erano preparati ad evitare ogni pretesto alla polizia di impedire la partecipazione. Niente magliette, niente bandiere, profilo basso. Già la mattina c’è stato il primo ostacolo per entrare in Roma. La città era blindata: polizia ai caselli autostradali, controlli su ogni veicolo. I primi blocchi e i fogli di via hanno iniziato a falciare chi, semplicemente per sospetto, veniva fermato.

Questo metodo, più subdolo e meno violento dei manganelli, ha messo in difficoltà molti degli intervenuti. Chi riusciva a entrare in città, veniva sottoposto a perquisizioni, arresti e ulteriori blocchi. Noi della federazione di Napoli e due compagni di Roma ci siamo diretti verso San Lorenzo, ma una macchina con agenti in borghese ci ha fermati.

Controllo dei documenti, perquisizione e, nel giro di pochi minuti, siamo stati circondati da volanti della polizia e una camionetta, pronte a portarci via. Uno dei miei amici, già schedato per aver partecipato in passato ad altre manifestazioni non autorizzate a Napoli, è stato arrestato e portato in Questura, dove ha ricevuto un foglio di via e il divieto di ritornare a Roma per sei mesi.

Come lui, molti altri miei amici hanno subito la stessa sorte. Ciò nonostante, abbiamo deciso di non lasciarci scoraggiare. Abbiamo studiato un piano per raggiungere Piazzale Ostiense in piccoli gruppi da tre, scaglionati, per evitare di essere individuati. Dopo 40 minuti di cammino sotto la pioggia, facendo attenzione a non essere notati, siamo riusciti a raggiungere il Piazzale.

La piazza era un campo di tensione. Circondata da agenti in tenuta antisommossa, elicotteri che sorvolavano la zona e un clima di terrore, il presidio è stato autorizzato solo in forma statica. Eravamo in diecimila tra giovani e meno giovani, tutti uniti pacificamente per sostenere la causa palestinese e quella di tutti i popoli oppressi dalla guerra. Il presidio si è trasformato in un girotondo.

Ma la polizia, che aspettava un pretesto per intervenire, ha bloccato l’avanzamento del corteo, causando un’escalation di tensione. Quando alcuni manifestanti hanno tentato di avanzare verso un varco libero, la polizia ha reagito violentemente. Manganelli e lacrimogeni hanno disperso la folla, mentre alcuni manifestanti hanno lanciato bombe carta e bottiglie di vetro contro gli agenti.

È stato in quel momento che la polizia ha attuato la misura più repressiva e devastante: bloccare tutte le uscite della piazza. Ci hanno letteralmente intrappolati, costringendoci a subire l’effetto dei lacrimogeni e degli idranti senza possibilità di fuga. Alcuni di noi si sono sentiti male ma non hanno potuto ricevere assistenza medica immediata, lasciata fuori recinto.

Io e un’amica di Brescia abbiamo resistito ai lacrimogeni, spalmandoci Malox attorno a naso e occhi per alleviare il bruciore. Volevamo andarcene, ma era impossibile. Intorno a noi c’erano giovani con attacchi di panico, alcuni a terra che non vedevano nulla. E poi cori contro la polizia, una resistenza disperata ma ferma. Tra la folla ho visto anche un gruppo di individui con spranghe in mano.

Uno aveva il tatuaggio “Dux”. Persone di questo genere lì e noi sottoposti a rigidi controlli. Dopo un po’, la polizia ha aperto lentamente degli spiragli da cui i manifestanti hanno potuto lasciare la piazza. Devastati, ci siamo diretti chi verso le ambulanze, chi per ricongiungersi con i compagni di eguale provenienza. Una volta sicuri che tutti stavano bene, ci siamo congratulati per la nostra resistenza.

Mario Cardone

Mario Cardone

Ex socialista, ex bancario, ex sindacalista. Giornalista e blogger, ha una moglie, una figlia filosofa e 5 gatti. Su Facebook cura il blog "Food & Territorio di Mario Cardone".

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