Wim Vandekeybus al Bellini di Napoli con Infamous Offspring: un’attualizzazione della mitologia greca
NAPOLI. Torna al Teatro Bellini di Napoli dal 20 al 24 novembre 2024, una tra le più innovative e spettacolari compagnie di danza contemporanea attualmente esistenti, Ultima Vez, diretta dal regista e coreografo Wim Vandekeybus.
Lo spettacolo prodotto e presentato dalla compagnia è Infamous Offspring, una trasposizione in chiave contemporanea della mitologia greca in cui danza, parola, cinema, arte figurativa, contorsionismi e scenografia convengono in un’opera ampia portata in scena da un cast di altissimo livello.
In alto, sullo schermo, ci sono Zeus ed Era, interpretati meravigliosamente dagli attori Daniel Copelaand e Lucy Black. I due non prendono mai la scena, non diventano mai “carne”, restano sempre lì, sospesi nello schermo, divini e lontanissimi dalle vicende dell’infame progenie, eppure artefici irresponsabili di quegli eventi stessi.
Anche Tiresia, il profeta cieco, che in questa trasfigurazione diviene muto e comunica esclusivamente tramite il ritmo ed i gesti, è distante, in uno schermo più basso, ma pur sempre lontano.
Sulla scena, con una coreografia ed una regia lodabili, si muovono tutte le più note figure dell’immaginario mitologico greco: Efesto, Dio del fuoco, dell’arte metallurgica e dell’artigianato, gettato sull’Olimpo da Era a causa della sua deformità; Ares, il Dio della guerra e della lotta; Afrodite, Dea dell’amore e della bellezza, moglie di Efesto ed amante di Ares; Apollo, Dio della musica, delle arti mediche, dell’intelletto e della verità; Artemide, Dea della caccia; Callisto, ninfa di Artemide; Dioniso, Dio del vino e dell’estasi; Atena, Dea della sapienza, figlia prediletta di Zeus, nata dalla sua stessa testa.
I danzatori ed attori, tutti di diverse origini – spagnole, cinesi, italiane, francesi, indiani, svedesi, tedesco-finlandesi, scozzesi – contribuiscono alla ricchezza ed all’eterogeneità della scena in modo magistrale, dando vita a quest’Olimpo attualizzato, come una enorme famiglia allargata e disfunzionale di oggi.
In scena tutto è estremo: la violenza, il sopruso, l’avidità, la brama di potere, la sete di vendetta, l’insensibilità, l’istinto sessuale. L’azione scenica è irrefrenabile e senza pausa alcuna. Per l’intera durata di 110 minuti i performers danzano, recitano, interagiscono con i genitori distanti guardando verso l’alto, allo schermo, scalano pareti fittizie, si scontrano i propri desideri e la propria bramosia, e mostrano, con questi stessi atteggiamenti, il proprio bisogno di amore, disatteso dai genitori.
Zeus ed Era dall’alto, guardano alla propria prole con disgusto quasi, e ne discutono mentre l’uno rifaccia all’altra le sue angherie, come una coppia annoiata e malefica e perciò disposta a tutto. Le parole sono della poetessa inglese Fiona Benson, e sono in grado di rendere più che mai contemporaneo il racconto delle vicende greche.
La prole infame è indomita e bestiale – nel movimento e nelle azioni – e si muove tra acrobazie ed evoluzioni aeree e al suolo, quasi sempre al limite del proscenio, come a sottolineare il limite labilissimo tra l’Olimpo e il mondo mortale. Nelle loro azioni c’è infatti ben poco di divino: sono umani, troppo umani, devastati dal fallimento, dalla memoria, dall’istinto, dalla volizione, dal bisogno d’attenzione e riconoscimento.
Quella che si genera, accompagnata dalla musica dei Dirty Three, è una danza fisica, istintiva, spesso sensuale, fata di cadute, scontri, salti e sopraffazioni, ma anche da una ritrovata unione finale quando Callisto offre a tutti dell’acqua, mentre distanti Zeus ed Era guardano al passato, alle proprie colpe, e si lasciano andare in un vortice che li riconduce al principio.