Nella Casa del Tiaso a Pompei una megalografia che svela i culti misterici di Dioniso
POMPEI. In una grande sala per banchetti, scavata nei primi mesi del 2025 nell’area centrale di Pompei, nell’insula 10 della Regio IX, è apparso un fregio a dimensioni quasi reali, ovvero una “megalografia” (dal greco “dipinto grande”, ciclo di pitture a grandi figure), che gira intorno a tre lati dell’ambiente. Il quarto lato era aperto sul giardino. Questo grande affresco fa il paio con quello della Villa dei Misteri (scavata invece a partire dal 1909) perché ripropone il tema dei “misteri di Dioniso” nel mondo classico.
Il fregio mostra infatti il corteo (tiaso) di Dioniso, dio del vino: baccanti rappresentate come danzatrici, ma anche come cacciatrici feroci, con un capretto sgozzato sulle spalle o con una spada e le interiora di un animale nelle mani. Si vedono anche giovani satiri con le orecchie appuntite che suonano il doppio flauto, mentre un altro compie un sacrificio di vino (libagione) in stile acrobatico, versando dietro le proprie spalle un getto di vino da un corno potorio (usato per bere) in una patera (coppa bassa).
Al centro della composizione c’è una donna con un vecchio sileno che impugna una torcia: si tratta di una inizianda, vale a dire una donna mortale che, tramite un rituale notturno, sta per essere iniziata ai misteri di Dioniso, il dio che muore e rinasce, promettendo altrettanto ai suoi seguaci.
Un dettaglio curioso consiste nel fatto che tutte le figure del fregio sono rappresentate su piedistalli, come se fossero delle statue, mentre al tempo stesso movimenti, carnagione e vestiti le fanno apparire molto vive. Gli archeologi hanno battezzato la dimora “Casa del Tiaso”, con riferimento al corteo di Dioniso.
Nell’antichità esistevano una serie di culti, tra cui quello di Dioniso, che erano accessibili solo a chi compiva un rituale di iniziazione, come suggerito nel fregio di Pompei. Tali culti si chiamavano “misterici”, perché solo gli iniziati potevano conoscerne i segreti. Spesso erano legati alla promessa di una nuova vita beata, sia in questo mondo sia in quello dell’oltretomba.
Il fregio scoperto a Pompei è attribuibile al II Stile della pittura pompeiana, che risale al I secolo a.C. Più precisamente, il fregio può essere datato agli anni 40-30 a.C. L’unico altro esempio di una megalografia con rappresentazioni di simili rituali, come accennato, è il fregio detto “dei Misteri”, nella omonima villa fuori le porte di Pompei, anch’esso in II Stile pompeiano.
Tuttavia, la megalografia trovata nella Regio IX di Pompei, rispetto alla Villa dei Misteri, aggiunge un altro tema all’immaginario dei rituali iniziatici di Dioniso e cioè la caccia. L’attività venatoria qui viene evocata non solo dalle baccanti cacciatrici, ma anche da un secondo fregio, più piccolo, che corre al di sopra di quello con baccanti e satiri. Qui sono raffigurati animali vivi e morti, tra cui un cerbiatto e un cinghiale appena sventrato, galli, uccelli vari, ma anche pesci e molluschi.